"Non avranno mai le nostre navi!"

"Non avranno mai le nostre navi!": l'ordine, sdegnato e foriero di un profondo senso dell'onore militaresco, che l'ammiraglio Jean de Laborde riceve e fa rispettare il 27 novembre 1942 è perentorio oltre che immediatamente comunicato a tutta la base navale di Tolone. Non un vascello francese deve cadere in mano nemica, meglio rinunciare a ciò che resta della quarta Marina militare al mondo piuttosto che consegnare la flotta agli invasori tedeschi. E' un giorno triste per la Francia, già lacerata dalla divisione tra gollisti e revanscisti di Vichy. E' il giorno in cui l'ultimo emblema della potenza militare transalpina muore in maniera tragica, tra lacrime e fuliggine. E' il giorno dell'autoaffondamento.

L'Operazione Anton varata dalla Wehrmacht per l'occupazione della Francia meridionale era in corso ormai da settimane. Dopo lo sbarco alleato in Nordafrica e la blanda resistenza francese, favorita tanto dai gollisti d'Algeri quanto dal cambio di fronte dell'ammiraglio François Darlan, il regime di Pétain aveva cessato ogni utilità anche tattica agli occhi di Hitler e Mussolini. A partire dall'11 novembre, tre giorni dopo l'inizio dell'Operazione Torch da parte degli angloamericani, i tedeschi avevano occupato quasi tutta la zona di competenza del governo di Vichy, mantenuto formalmente in carica ma privato di qualsiasi autonomia decisionale e soprattutto di competenze specifiche. Il frutto avvelenato della pace amara di Compiègne del 1940 era caduto dall'albero spaccandosi e liberando gli ultimi nefasti semi: lo Stato Francese, sorto teoricamente per salvare il salvabile dopo i disastri dell'invasione nazista, si era rivelato un compromesso inutile in politica estera (accomodante tanto con gli Alleati che con l'Asse, aveva reagito blandamente tanto alle offensive dei primi quanto alle richieste hitleriane) così come sul fronte interno, dove l'estrema destra si era lanciata in una deprecabile campagna di reclutamento di lavoratori-schiavi da spedire in Germania ed in una disgustosa caccia all'ebreo. L'unico baluardo militare della fu potenza francese era rimasta la flotta, peraltro ridotta d'organico dopo i fatti di Mers-el-Kébir e la defezione di diverse unità a favore della Francia Libera di De Gaulle.

Rintanata a Tolone, ritenuto porto sufficientemente sicuro in luogo degli approdi africani precedentemente bersagliati dagli Alleati, la squadra d'alto mare transalpina aveva cessato ogni attività operativa limitandosi alla routine. Dal disastro algerino di oltre due anni prima la Marine Nationale aveva recuperato la "Provence" e il "Dunkerque", pesantemente danneggiati e riparati alla meglio; lo "Strasbourg", che con la sua scorta era riuscito a rompere il blocco britannico attorno a Mers-el-Kébir, aveva ereditato il ruolo di nave ammiraglia; assieme alle tre unità di maggior tonnellaggio, l'ammiragliato francese poteva contare anche su quattro incrociatori pesanti, tre incrociatori leggeri (di cui uno però, il "Jean De Vienne", inutilizzabile), una nave appoggio idrovolanti, 30 tra caccia e torpediniere, 15 sottomarini e vario naviglio minore. Una flotta sicuramente ridotta nei ranghi e nelle potenzialità rispetto all'entrata in guerra della Repubblica tre anni prima ma ancora piuttosto efficiente e temibile. Soprattutto, uno strumento bellico di una certa importanza, al di là delle reali esigenze di Pétain e Laval.

Proprio quel potenziale bellico aveva attirato le mire golose di tedeschi ed italiani. Cancellare dalle mappe geopolitiche Vichy significava non solo ridurre a zero la assai relativa capacità militare dell'esercito francese sotto il controllo collaborazionista ma soprattutto poter allungare le mani su un bel po' di preziose navi da impiegare nel Mediterraneo, dove le perdite della Regia Marina erano divenute assai rilevanti e dove la presenza germanica era ridotta a naviglio silurante ed a sottomarini: troppo poco per opporsi ad una prossima azione congiunta di Mediterranean Fleet e US Navy, specie in vista di una probabile offensiva verso l'Italia insulare e meridionale. Per questo potersi impadronire di una consistente aliquota di navi operative e pronto uso agitava gli appetiti degli strateghi tanto a Berlino quanto a Roma. Di queste mire però gli ammiragli francesi erano tutto fuorché all'oscuro: pur dovendo registrare la defezione di Darlan, che gli Alleati erano riusciti ad attirare dalla loro parte e che successivamente sarebbe stato ucciso a revolverate da un monarchico, de Laborde ed il suo collega Marquis non si erano fatti illusioni e da tempo avevano preparato un piano d'azione in concerto col contrammiraglio Auphan, Ministro della Marina. Nonostante quest'ultimo in più occasioni avesse caldeggiato un passaggio della flotta in un porto controllato dagli angloamericani per evitare il peggio, de Laborde si era dimostrato irremovibile, ponendo condizioni troppo stringenti tra cui un esplicito ordine da parte dell'intero Esecutivo - troppo per Auphan che alla fine aveva preferito non forzare la mano e dimettersi.

Il piano d'emergenza concertato tra ammiragli, guarnigione di guardia, comandanti e tecnici era stato strutturato per impedire, senza tuttavia ricorrere alla forza, l'accesso di truppe straniere nelle basi ed a bordo delle navi; qualora ciò si fosse rivelato impossibile, l'ordine impartito sarebbe stato quello di sabotare tutti i vascelli alla fonda con esplosivi ed aprendo le valvole a mare, così da provocare un autoaffondamento posando le chiglie sul fondo, un espediente preferito rispetto all'ipotesi del capovolgimento pensando ad un possibile recupero dei relitti a guerra ultimata. Sul fronte opposto i tedeschi temevano la reazione transalpina ed avevano studiato un piano a tenaglia con la 7a Divisione Panzer incaricata di entrare a Tolone da due direttrici differenti mentre al largo della base alcuni sommergibili avevano posato delle mine e si erano appostati per intercettare eventuali fuggiaschi. 

Prima dell'alba del 27 novembre le prime forze tedesche muovono con decisione verso l'enclave di Tolone, unica area rimasta in pieno controllo di Vichy dopo l'invasione delle settimane precedenti. La prima mossa germanica è l'arresto dell'ammiraglio Marquis che viene sorpreso nei suoi alloggi a Fort Lamargue, ma l'ingresso delle truppe naziste non sfugge al contrammiraglio Robin, capo di stato maggiore, che prontamente telefona a de Laborde: "I tedeschi sono qui e tra poco arriveranno all'arsenale. Procedete all'affondamento. Non avranno mai le nostre navi!". A bordo dello "Strasbourg" l'ammiraglio è inizialmente incredulo anche se le sentinelle ai cancelli della base gli confermano poco dopo di movimenti di truppe corazzate naziste. "Ci siamo - dice de Laborde ai suoi sottoposti - Sapete già cosa fare. Cercate con ogni mezzo di impedire loro di avvicinarsi agli attracchi. Nel frattempo, aprite le valvole e preparate le cariche da demolizione. Vive la France!". Al porto intanto le avanguardie di Blaskowitz incappano prima in curiosi contrattempi, con alcuni gendarmi francesi che chiedono loro lasciapassare, ordini scritti, circolari ed ogni possibile lungaggine burocratica; poi si perdono nel dedalo di vie attorno ai depositi di materiale ed al cantiere dove alcune navi sono in riparazione. Quando poco prima delle 7 i primi carri armati giungono in vista della flotta, i soldati vedono le navi sparire lentamente in acqua; un paio di Panzer iniziano a sparare verso i marinai, uccidendone alcuni, ma al tiro tedesco corrisponde il brandeggio delle torri ausiliarie dello "Strasbourg" con salve di avvertimento che inducono gli invasori a più miti consigli. In realtà è solo un espediente per guadagnare altro tempo, de Laborde ha già ordinato l'accensione delle cariche esplosive ed in breve la grossa nave è scossa dalle detonazioni ed avvolta dagli incendi mentre l'equipaggio sbarca a terra. Lo stesso accade per numerose altre unità in base: il "Colbert" salta in aria, liberando un denso fumo nero nell'atmosfera affascinando i carristi che restano stupefatti osservando l'incendio; sul "Dupleix" il comandante riesce ad innescare gli esplosivi a miccia corta nelle torri dopo che i tedeschi sono saliti a bordo; sul "Jean De Vienne" in bacino, i nazisti disattivano le cariche ma non riescono a chiudere le valvole, tanto che l'incrociatore scivola sul fondo; sul "Dunkerque" le squadre di demolizione riaprono le falle precedentemente tappate facilitando l'affondamento, imitati dai colleghi sulla "Provence"; solo un pugno di sommergibili riesce a scappare dal cimitero di Tolone, eludendo mine ed agguati subacquei, andando a rimpolpare le forze della Francia Libera.

Il bilancio conclusivo è tragico per tutti gli schieramenti in campo. I francesi denunciano dodici caduti, 26 feriti e la perdita di 77 navi complessive. I tedeschi, che lamentano appena un ferito, riescono solamente ad impadronirsi di tre caccia e di quattro sommergibili, tutti però in pessime condizioni, oltre a qualche nave così antiquata da essere inutilizzabile. Lo Stato Francese del maresciallo Pétain muore ufficialmente nel porto mediterraneo mentre con somma insoddisfazione l'Asse deve registrare il fallimento della propria azione ed anzi impegnare alcune forze per domare gli incendi a bordo dei relitti, con le fiamme che perdurano per giorni se non per settimane su diverse unità ingombrando la rada di rottami. La Regia Marina resta a bocca asciutta, riuscendo a recuperare solamente dopo diversi mesi un paio di incrociatori leggeri, ma l'armistizio di Cassibile impedirà tanto un ripristino delle navi riportate a galla quanto un loro pronto avvio alla demolizione per il recupero delle leghe metalliche. Occorreranno anni per liberare il porto dai resti della Marine Nationale mentre l'unico bottino di guerra di un clamoroso fiasco sarà rappresentato da un paio di torri della fu "Provence", enucleate dalla loro vecchia proprietaria e trasferite come parte di una fortificazione a Saint-Mandrier-sur-Mer come artiglieria costiera: il compito finale dei cannoni da 343mm della corazzata sarà opporsi invano allo sbarco degli Alleati nel corso dell'Operazione Dragoon il 15 agosto 1944.

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