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Visualizzazione dei post da settembre, 2021

Disgrazia al porto

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Una deflagrazione assordante, potente, devastante. Vetrate e finestre che vanno in frantumi, intonaci che cadono, l'onda d'urto che si spande nella città. Una caldaia esplosa? Impossibile. Un incidente ferroviario? Si sarebbe udito il clangore delle lamiere. Una bomba? No, non ci sono aerei in cielo e non si vedono crateri in giro. Quell'esplosione arriva dal mare, anzi dal porto, dove una grande nave sta colando a picco. La mattina del 27 settembre 1915 la città di Brindisi si sveglia nel panico per accorgersi dopo che il fumo dell'esplosione si è finalmente diradato che una tragedia si è compiuta tra i bastimenti ancorati in rada. A saltare in aria è stata la "Benedetto Brin" , corazzata pluricalibro ancorata nel porto medio, vicino alla spiaggia di Marimist. Era passata da poco l'ora di colazione quando la grande nave è stata scossa da una esplosione titanica, una colonna di fuoco che da poppa aveva scagliato verso l'alto e poi in mare la torre

La Méhari verde

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Gli eroi sono silenziosi. Gli eroi sorridono, ma spesso in maniera timida. Gli eroi non urlano: parlano, di solito a bassa voce. Gli eroi veri non hanno abiti sgargianti ma vestono in maniera piuttosto semplice. Gli eroi non guidano auto sportive o mezzi indistruttibili, accontentandosi di vetture modeste, pratiche, a volte persino eccentriche nella loro praticità. Come ad esempio una Citroën Méhari , magari di un colore particolare, verde. Era quella l'auto utilizzata da Giancarlo Siani per spostarsi tra Napoli e Torre Annunziata ed è proprio a bordo di quella "spiaggina" che trovò la morte, la sera del 23 settembre 1985 . Chi era Giancarlo Siani? Prima di tutto, era un giornalista . Di quelli precari, senza tutele, anche senza contratto regolare: suonerebbe buffo, se solo non fosse tragico e grottesco, pensare che la situazione lavorativa di Siani rappresentasse già negli anni '80 la realtà della stragrande maggioranza della professione giornalistica odierna. Gianc

Quel dannato ultimo ponte...

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"Sì signor generale, ho capito. Lei  vuole stendere una sorta di tappeto composto da truppe aviotrasportate perché poi le nostre armate meccanizzate possano passarvi sopra e sfondare le linee nemiche. Ho un unico dubbio: il tappeto deve essere composto da soldati vivi o morti?" . La provocatoria domanda del maggior generale Roy Urquhart fa sobbalzare per un istante il serafico volto di Lewis H. Brereton , comandante in capo della 1a Armata Aviotrasportata alleata. L'energico alto ufficiale scozzese, capo di Stato Maggiore dell'Armata e della 1st Airborne, non ha mai avuto troppe remore nell'esplicitare il proprio pensiero ai diretti superiori ed anche stavolta preferisce essere franco. "Quello è un dannato generale capacissimo di essere un ottimo sergente" , dicono di lui i parà inglesi che hanno imparato ad apprezzarne le doti pur non capendo come potesse il comandante della Aviotrasportata rifiutare di imparare come lanciarsi col paracadute. Urquhart n

"Dov'è Bashir?"

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"Amici, un nuovo Paese nascerà a giorni. Sarà un Libano forte, sicuro, indipendente. Sarò io a garantire tutte queste promesse, come nuovo presidente vi assicuro che..." . La voce forte dell'oratore sul palco è sovrastata da un'esplosione fragorosa che scuote l'edificio, detriti che cadono dal soffitto, una nube di polvere che invade la sala, il pavimento che crolla parzialmente. La platea urla, è un fuggi fuggi generale dalla scena del disastro. Occorrono ore perché si riesca a far luce sull'avvenuto, anche se tutti comprendono immediatamente che la tragedia non sia stata provocata da una accidentale fuga di gas ma da un attentato dinamitardo. Ore in cui si rincorrono voci sempre più confuse sul numero delle vittime ed in cui la domanda che tutti si fanno è una sola: dov'è Bashir? Il Bashir in questione non è una persona qualsiasi, bensì il presidente eletto ma non ancora insediato della Repubblica Libanese. Esponente di una delle famiglie più influenti

Un fungo nero sul mare

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Nell'immaginario collettivo, la mushroom cloud o nube a fungo è strettamente legata ad un esplosione atomica. Il pirocumulo è formato da detriti, fumo e vapore acqueo condensato ma a dispetto delle credenze comuni non è necessaria una detonazione nucleare per formarlo: è sufficiente una qualsiasi esplosione che abbia una sufficiente potenza, tant'è vero che persino alcune eruzioni vulcaniche lo possono generare. Ovviamente anche ordigni di tipo convenzionale possono causare una nube a fungo, purché la detonazione abbia abbastanza potenza, purché riesca a bruciare le particelle d'ossigeno presenti nell'aria ed innalzando notevolmente la temperatura. Ed è proprio una spaventosa nube a fungo quella che si scorge nel mare al largo dell'isola dell'Asinara nel pomeriggio del 9 settembre 1943 . E' uno spettacolo agghiacciante che stordisce qualunque osservatore e che scrive tristemente la parola conclusiva alla vita di decine di centinaia di uomini. La nave da ba

Sangue sui giochi

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Dal 1896 ad oggi i cinque cerchi colorati identificano non solo le Olimpiadi moderne ma un ideale di pace, coesione, gioia, sport, rispetto, dedizione. Valori universali che riprendono i dettami del barone de Coubertin e la tradizione classica dei Giochi di Olimpia. Atleti di tutto il mondo sognano di poter partecipare alla rassegna che si tiene ogni quattro anni per poter sfilare nello stadio e competere con i migliori del mondo nelle varie discipline. Se salire sul podio è un'ambizione per pochi, essere inclusi nella lista è già un onore. Anche i vari Paesi gareggiano, prima ancora che con le proprie rappresentative nella corsa ad ottenere l'organizzazione di una edizione della rassegna. Non è solo (o ancora) business, per una città poter ospitare le Olimpiadi è un vanto da spendere come biglietto da visita per dimostrare operosità, capacità e volontà d'accoglienza. Nel 1972 il compito spetta a Monaco di Baviera . Il capoluogo del più esteso Land della Germania Federale

Gli alamari sulla pelle

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Un cartello semplice, parole in vernice nera vergate su fondo bianco: "Qui è morta la speranza dei palermitani onesti" . Non c'è firma ma è impossibile non accorgersi della valenza del messaggio anonimo. Perché quel cartello appare in via Isidoro Carini , nel pieno centro di Palermo, la mattina del 4 settembre 1982, nel luogo dove poche ore prima è avvenuto l'ennesimo delitto di mafia. Ma non una uccisione qualsiasi: non è stato un regolamento di conti tra famiglie rivali, né l'esecuzione di un boss della fazione perdente all'interno della seconda grande guerra di Cosa Nostra. Lì è morto un servitore dello Stato, un uomo la cui immagine significava moltissimo per tanti italiani. Un simbolo, una speranza per chi non intende piegarsi alle logiche perverse della malavita organizzata e del malaffare dei colletti bianchi. Un uomo che ha dedicato la sua vita ad un ideale di giustizia e ad una divisa, tanto da poter quasi affermare di avere gli alamari cuciti sulla p