Sangue sui giochi

Dal 1896 ad oggi i cinque cerchi colorati identificano non solo le Olimpiadi moderne ma un ideale di pace, coesione, gioia, sport, rispetto, dedizione. Valori universali che riprendono i dettami del barone de Coubertin e la tradizione classica dei Giochi di Olimpia. Atleti di tutto il mondo sognano di poter partecipare alla rassegna che si tiene ogni quattro anni per poter sfilare nello stadio e competere con i migliori del mondo nelle varie discipline. Se salire sul podio è un'ambizione per pochi, essere inclusi nella lista è già un onore. Anche i vari Paesi gareggiano, prima ancora che con le proprie rappresentative nella corsa ad ottenere l'organizzazione di una edizione della rassegna. Non è solo (o ancora) business, per una città poter ospitare le Olimpiadi è un vanto da spendere come biglietto da visita per dimostrare operosità, capacità e volontà d'accoglienza.

Nel 1972 il compito spetta a Monaco di Baviera. Il capoluogo del più esteso Land della Germania Federale è conosciuto da tempo per la nomea di capitale della birra e come oasi di relax nei confronti della rigida tradizione teutonica che vige un po' ovunque. Monaco è purtroppo anche un simbolo storico di un periodo oscuro: in città avvenne nel 1925 il “putsch della birreria”, primo esempio della violenza nazista, e nelle sue vicinanze fu creato il primo campo di concentramento, Dachau. Trentasei anni prima il regime hitleriano aveva celebrato in maniera pomposa le Olimpiadi di Berlino come occasione di predominio fisico sul mondo, un trionfo marziale rovinato dai quattro ori del magnifico Jesse Owens. Superata la tempesta della guerra, Monaco intende voltar pagina e vuole dimostrare a tutti che i fantasmi del passato sono archiviati. Basta con l'immagine dell'ordine tedesco e delle regole ferree, i Giochi del 1972 devono essere una festa per tutti, anche per chi non può permettersi il costo del biglietto per entrare allo stadio.

C'è però chi quella festa intende rovinarla. Sono otto uomini, arrivano dal Medio Oriente e li contraddistingue una sigla cupa, sinistra, che porta con sé sangue e dolore. “Non ci hanno voluto ai Giochi, vorrà dire che troveremo un modo per parteciparvi ugualmente”, commenta il capo dell'organizzazione terroristica “Settembre Nero” mentre beve un caffè in un bar di Roma con due alti esponenti di al-Fatah. Da alcuni anni la guerra tra israeliani e palestinesi ha varcato i tradizionali confini geografici e si è spostata in Europa con dirottamenti, rapimenti, attacchi terroristici su obiettivi civili. Al fianco delle conosciute sigle di Fatah e del Fronte Popolare di Habbash è apparso “Settembre Nero”, una frangia oltranzista che ha preso il nome dal massacro perpetrato dalla Legione Araba giordana che nel settembre 1970, dopo che l'OLP ha tentato di rovesciare il regno hashemita, ha costretto i palestinesi ad una precipitosa fuga verso il Libano. “Settembre Nero” ha già firmato qualche operazione tra cui il fallito dirottamento del volo Sabena tra Vienna e Tel Aviv, conclusosi con la morte o la cattura di tutti i terroristi, ma vuole compiere un salto di qualità. L'occasione dei Giochi, una vetrina di respiro mondiale, è troppo ghiotta.

Il commando è presto formato. A capo della squadra vi è Issa, vero nome Luttif Afif, un ingegnere palestinese di madre ebrea che ha lavorato alla costruzione del villaggio olimpico bavarese; suo vice è Tony, nome di battaglia di Yusuf Nazzal, già cuoco delle mense degli operai che avevano costruito le strutture olimpiche. Con loro ci sono sei volontari reclutati nel peggior inferno possibile, il campo libanese di Shatila, una bidonville in cui si sono ammassati gli sfollati dalla Giordania mentre Arafat ed i suoi prendono possesso di fette di Beirut Ovest e comprano armi sempre più sofisticate. Gli otto sono spediti in Libia per una settimana di addestramento, poi volano a Monaco con travestimenti ed armi nelle valigie riuscendo ad evitare i controlli delle dogane. L'obiettivo è la delegazione israeliana, ospitata in una delle palazzine a schiera costruite nel Villaggio Olimpico: il piano prevede un'azione di massimo 24 ore, la presa degli ostaggi, la negoziazione per la liberazione di prigionieri e la fuga coperti dagli scudi umani.

D'altronde l'organizzazione olimpica di Monaco ha predisposto un livello di sicurezza eccezionalmente basso. Niente vigilanza armata per non ricordare i fantasmi nazisti, solo volontari dotati di ricetrasmittente. Pochissimi i controlli agli ingressi, zero repressione da parte della Polizia che addirittura disperde l'unica manifestazione di protesta imbastita da alcuni anarchici regalando caramelle. Le palazzine poi sono tutte uguali e basta poco per studiarle: un paio dei terroristi si fingono tifosi brasiliani e con la scusa di conoscere gli atleti verdeoro entrano nel Villaggio e memorizzano ogni dettaglio. Per superare l'unico ostacolo, vale a dire i cancelli, non c'è problema: sono tanti gli atleti che scavalcano la sera per andare a divertirsi nelle birrerie e nelle discoteche di Monaco, nessuno farà caso ad un gruppo vestito con tute sportive e con borse da ginnastica che in piena notte cercherà di entrare nel complesso.

La mattina del 5 settembre 1972 Monaco di Baviera si sveglia dal dolce sogno olimpico e si ritrova catapultata in un atroce incubo. C'è un uomo, passamontagna calato sul volto, che si affaccia guardingo dal balcone di una palazzina. Getta un foglietto verso terra, poi rientra, fucile mitragliatore in pugno. Il foglietto reca le condizioni per liberare nove tra atleti, allenatori ed arbitri israeliani sequestrati la notte precedente. Le telecamere delle televisioni non trasmettono più le immagini delle competizioni sportive ma i loro obiettivi sono tutti puntati su quella pallida palazzina.

Poche ore prima il commando è entrato in azione. Dopo aver scavalcato la recinzione con l'inconsapevole aiuto di un gruppo di canadesi, i terroristi hanno fatto irruzione negli alloggi della delegazione con la Stella di David. Nella colluttazione iniziale un colpo di mitra ha ferito alla guancia il 33enne Moshe Weinberg, arbitro di lotta greco-romana, che successivamente, mentre il connazionale Gad Tsobari fugge nei garage, atterra con un pugno alla mandibola uno dei terroristi: una raffica lo scaraventa a terra in una pozza di sangue. Poco dopo il commando uccide un altro ostaggio, il pesista Yossef Romano, 31 anni, che pur con una gamba ingessata tenta di disarmare uno degli aggressori. Il cadavere di Weinberg viene gettato in strada mentre il corpo martoriato di Romano è tenuto in un angolo dai terroristi per ammonire i nove ostaggi rimasti a non tentare altri colpi di mano.

La notizia coglie tutti impreparati. Il Comitato Olimpico decide inizialmente di non sospendere il programma degli eventi suscitando più di una critica mentre il borgomastro Hans-Jochel Vogel si dichiara disponibile a prendere il posto degli ostaggi. I terroristi chiedono che in cambio delle vite dei nove sventurati nelle loro mani siano fatti uscire di prigione Andreas Baader ed Ulrike Meinhof, i capi della famigerata Rote Armee Fraktion, e altri 234 detenuti in Israele minacciando di uccidere un ostaggio ogni sessanta minuti qualora le loro richieste non vengano soddisfatte. Le trattative sono serrate, l'ultimatum è spostato verso il pomeriggio mentre la polizia, priva di piani d'intervento e di unità speciali appositamente formate, studia diversi piani di irruzione che vengono accantonati perché impraticabili o perché facilmente scoperti dagli stessi palestinesi. Alle 17 Issa chiede il trasferimento del suo gruppo e dei prigionieri in Egitto, una prospettiva che viene respinta dalle autorità del Cairo che non intendono farsi garanti dell'incolumità degli israeliani temendo una ritorsione militare del bellicoso vicino.

Temendo il peggio, i tedeschi decidono di tentare il tutto per tutto ed informano i sequestratori che verrà approntato un aereo per condurli in Medio Oriente. Pur sospettando una trappola, Issa ed i suoi acconsentono a trasbordare gli ostaggi su un paio di pulmini e poi su un paio di elicotteri da trasporto per raggiungere lo scalo militare di Fürstenfeldbruck. All'aeroporto la polizia ha posizionato cinque tiratori con fucili di precisione ed una pattuglia di finti piloti Lufthansa a bordo di un Boeing, disponendo l'arrivo di un terzo elicottero con a bordo una squadra di incursori e l'intervento di alcune autoblinde. L'inesperienza tedesca nella gestione di una crisi con ostaggi si manifesta drammaticamente in mille dettagli: i terroristi sono sottostimati nel numero (si pensa siano cinque, in realtà sono otto), i cecchini selezionati non sono specialisti ma semplici poliziotti appassionati di tiro sportivo, il gruppo a bordo dell'aereo rinuncia all'azione a causa delle uniformi mal confezionate e degli errori di comunicazione, il terzo elicottero si dirige dall'altro lato della pista e i blindati sono bloccati nel traffico – uno addirittura si dirige all'aeroporto civile di Monaco-Riem causando un tamponamento a catena quando il guidatore si accorge di aver sbagliato destinazione.

Nonostante gli altissimi rischi si decide di procedere ugualmente. All'arrivo a Fürstenfeldbruck dopo le 22:35 Issa e Tony scendono dall'Iroquis e salgono la scaletta del Boeing scoprendo la trappola: l'aereo è vuoto ed i fari illuminano improvvisamente a giorno la pista. Temendo di aver fallito, i terroristi perdono ogni remora e sparano all'impazzata verso le fotoelettriche uccidendo un agente di polizia e poi vuotano i caricatori all'interno degli elicotteri trucidando gli ostaggi. La polizia reagisce sparando e freddando Issa e tre complici senza però impedire che uno degli Iroquois salti in aria dopo che una bomba a mano viene gettata al suo interno. Tony, ferito ad una gamba, tenta la fuga ma è raggiunto nel vicino scalo ferroviario ed ucciso. Si arrendono in tre, due feriti ed uno completamente illeso.

Il Massacro di Monaco si conclude con un bilancio spaventoso. I morti sono diciassette: tutti gli ostaggi, un poliziotto e cinque membri del commando palestinese. Il mondo è sbigottito, le Olimpiadi perdono la loro innocenza. Israele reagisce duramente, bombardando i campi OLP in Libano e varando un'operazione coperta chiamata in codice “Ira di Dio” per eliminare gli organizzatori della carneficina: sarà una vendetta lunga, che impegnerà squadre omicide per anni tra Europa e Medio Oriente, alla ricerca di obiettivi noti ed altri di secondo o terzo piano scatenando la reazione tanto dei palestinesi quanto dei loro alleati, a cominciare da Ilich Ramirez Sanchez alias Carlos. I tre terroristi superstiti del massacro di Monaco usciranno di prigione dopo appena un mese, scambiati con i passeggeri di un volo civile dirottato a Zagabria facendo poi perdere le loro tracce. Una atroce beffa per le famiglie delle vittime di una strage che ha lasciato sbigottito il mondo.

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