Disgrazia al porto

Una deflagrazione assordante, potente, devastante. Vetrate e finestre che vanno in frantumi, intonaci che cadono, l'onda d'urto che si spande nella città. Una caldaia esplosa? Impossibile. Un incidente ferroviario? Si sarebbe udito il clangore delle lamiere. Una bomba? No, non ci sono aerei in cielo e non si vedono crateri in giro. Quell'esplosione arriva dal mare, anzi dal porto, dove una grande nave sta colando a picco. La mattina del 27 settembre 1915 la città di Brindisi si sveglia nel panico per accorgersi dopo che il fumo dell'esplosione si è finalmente diradato che una tragedia si è compiuta tra i bastimenti ancorati in rada.

A saltare in aria è stata la "Benedetto Brin", corazzata pluricalibro ancorata nel porto medio, vicino alla spiaggia di Marimist. Era passata da poco l'ora di colazione quando la grande nave è stata scossa da una esplosione titanica, una colonna di fuoco che da poppa aveva scagliato verso l'alto e poi in mare la torre dei grossi calibri. Poco dopo la corazzata, già ridotta ad un relitto in fiamme, si era inclinata di poppa iniziando ad appoggiarsi sul fondo scavando, con i propri rottami, una sorta di letto fangoso nel sedime del porto. Gli spettatori della tragedia sono a bordo delle altre navi in rada e possono solo scorgere le sagome dei marinai che provano a mettersi in salvo, a scappare da quel bastimento divelto e condannato.

La "Brin" non era una nave moderna ma era comunque considerata efficiente. In servizio già da una decina di anni, il suo valido progetto era stato superato dall'immissione in servizio della britannica "HMS Dreadnought", la prima corazzata monocalibro al mondo (ironia della sorte, progettata seguendo le idee di un tecnico italiano, l'ingegner Vittorio Cuniberti). Da quel momento la "Brin" e le altre navi del suo tipo erano divenute improvvisamente superate, quasi inutili e relegate a compiti di secondo piano. Ma lo scoppio della Grande Guerra e l'ingresso del Regno d'Italia nel conflitto avevano indotto la Regia Marina ad arruolare qualunque nave disponibile, persino quelle più datate, per garantire la difesa costiera. Non solo: il confronto armato con l'Impero Austroungarico richiedeva la necessità di bloccare alla KuK Kriegsmarine l'unica via di fuga, il Canale d'Otranto, chiudendo quindi il Mar Adriatico così che la flotta nemica non potesse uscire in mare aperto a disturbare le azioni delle Marine alleate.

La "Brin" era in servizio assieme alla pariclasse "Regina Margherita" (destinata ad una triste fine, salterà in aria un anno dopo su un campo minato) ed alle più moderne "Alighieri", "Cavour" e "Cesare" ma anche ad altre pluricalibro. La mattina del 27 settembre 1915 era in programma un briefing dell'ammiraglio Ernesto Rubin de Cervin, comandante della 3a Divisione Navale, proprio nel quadrato ufficiali a bordo della corazzata. Alle 8 la nave è improvvisamente scossa da un'esplosione, una colonna di fuoco giallo-rosso sale a poppa scardinando la pesante torre con i cannoni da 305mm che sale in cielo e precipita a sinistra del bastimento, in mare. Il fumaiolo poppiero ed il vicino albero si accartocciano su loro stessi, si odono urla, si scorgono marinai impazziti che chiedono ordini e che alla fine si buttano in acqua mentre la "Brin" inizia la sua discesa verso il fondo. E' una tragedia. I brindisini accorrono sul luogo temendo che l'esplosione udita in precedenza riguardasse il vicino Castello Alfonsino ma possono solo vedere il tremendo spettacolo offerto dalla disgrazia. Il salvataggio dei superstiti impiega ogni forza disponibile in rada, gli stessi cittadini si offrono volontari per aiutare i sopravvissuti. La "Brin", ancora avvolta da fumo e fiamme, finisce sottacqua in meno di un'ora lasciando affiorare solo parte delle sovrastrutture.

I funerali delle vittime, molte non recuperate o irriconoscibili per le gravissime ustioni, è celebrato il giorno dopo. La conta dei morti è spaventosa: metà dell'equipaggio è perito nell'esplosione, su 943 uomini a bordo se ne sono salvati 447. All'appello mancano sia Rubin de Cervin che il comandante della "Brin", capitano di vascello Gino Fara Forni: la malasorte ha voluto che i due, assieme ad altri 21 ufficiali, fossero riuniti nel quadrato che si trovava a poppa, a pochi metri dal luogo dell'esplosione. Occorreranno anni per completare il recupero, solo nel 1924 il porto sarà liberato dai rottami della "Brin" e nell'occasione verranno ritrovate altre salme, prontamente tumulate. Le sue artiglierie, già recuperate, erano andate ad armare dei monitori utilizzati per fronteggiare lungo le coste venete e friulane le incursioni nemiche, appoggiando le truppe di terra.

Le cause della tragedia non si riescono a cogliere nell'immediato. C'è chi parla di una mina, chi dice che potrebbe essersi trattato di un tragico errore da parte di uno degli artiglieri di bordo che ha maneggiato incautamente le cariche di lancio. Si fa strada rapidamente la tesi di un complotto, del sabotaggio, dell'intervento di agenti austriaci o di traditori italiani al soldo del nemico che avrebbero piazzato una bomba in cambio di denaro. Occorrerà un secolo intero per far luce sulle reali motivazioni del disastro e spetterà alla Marina Militare sgombrare il campo dai dubbi: "Come ormai acclarato - si legge in una nota nel sito ufficiale dell'Arma - si trattò di una disgrazia non diversa da quelle accadute in altre marine da guerra dell'epoca: la causa dell'affondamento era infatti da attribuire ai nuovi esplosivi utilizzati per le cariche di lancio e di scoppio che, indispensabili e sempre più potenti, erano stati introdotti da troppo poco tempo perché se ne conoscessero tutte le caratteristiche relative alla loro stabilità". La disgrazia insomma fu dovuta alla sottovalutazione della potenza degli strumenti bellici, il cui sviluppo sin troppo rapido non teneva in debita considerazione i rischi connessi all'imbarco di certi esplosivi altamente instabili. La "Brin" così come altre navi era colata a picco per una fatale disattenzione indotta dalla frenesia della condotta della guerra, con un salatissimo conto in vite umane pagato in nome del progresso delle artiglierie.

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