Neve rosso sangue

Esistono eventi difficilmente spiegabili, situazioni assurde che si verificano in maniera del tutto casuale e che, per uno sfortunato sommarsi di circostanze fortuite, provocano conseguenze terribili. A distanza di 64 anni ancora nessuno riesce a dare una spiegazione logica, coerente e soprattutto comprovata di come un aereo di linea che percorreva la tratta tra Roma e Milano sia potuto finire tra le montagne del Trentino scomparendo dai radar. Il mistero che perdura da allora porta il terribile nome di Tragedia di Natale.

Il 22 dicembre 1956 un DC3 della compagnia aerea LAI (Linee Aeree Italiane) imbarca 17 passeggeri a Ciampino e parte per un volo di routine diretto al Nord. Fa freddo, mancano pochi giorni alle feste e a bordo del velivolo hanno preso posto soprattutto lombardi che rientrano a casa per trascorrere il Natale in famiglia. Ai comandi c'è il capitano Giorgio Gasperoni, già asso della Regia Aeronautica nell'ultimo conflitto passato all'aviazione civile ed ai voli interni. Gasperoni è un ottimo elemento, vanta centinaia di ore di servizio ed è apprezzato nell'ambiente. Prima del decollo svolge tutti i consueti controlli, si assicura dei vari dettagli: gli piace volare in sicurezza, anche perché è conscio dell'importanza e della delicatezza del suo mestiere.

Il volo procede normalmente nella prima tratta. A bordo l'hostess Maria Luisa Onorati si occupa dei passeggeri, distribuisce il caffè e gli analcolici, risponde alle domande di chi le chiede se si potrà atterrare in orario o se ci saranno contrattempi. Tutto come da copione. Ma qualcosa che non va c'è e lo nota Gasperoni dopo poco più di un'ora dal decollo. Secondo i suoi calcoli l'aereo dovrebbe essere prossimo alla pianura padana ma la visibilità pare azzerata. Il comandante accende tutte le luci di posizione del velivolo per provare a migliorare la situazione ma pare che oltre al buio (sono le 18:00, il sole è calato già durante l'imbarco a Ciampino) vi sia anche una foschia mista a nevischio. Eppure le previsioni meteo non avevano segnalato la possibilità di un tale peggioramento delle condizioni del tempo. Gasperoni contatta Malpensa, chiede che si accendano tutte le luci della pista per aiutarlo nell'orientamento: dalla torre di controllo gli confermano che il meteo non è clemente ma aggiungono che al suolo non sta nevicando, quindi è possibile che l'aereo si sia infilato in una turbolenza. Le luci sono comunque accese e si attende l'arrivo del DC3.

Ma da bordo dell'aereo né Gasperoni né il suo secondo Lamberto Tamburelli vedono nulla. Semmai si accorgono che stranamente del ghiaccio si sta formando sulle estremità delle ali, vicino ai flap, come se la temperatura esterna sia precipitata molto al di sotto dei valori canonici. Gasperoni consulta la strumentazione che gli conferma di essere sulla rotta giusta eppure sa che c'è qualcosa che non va. Di carburante ce n'è ancora, per fortuna, ma non si può pensare di gironzolare per ore cercando l'aeroporto di Malpensa e soprattutto vento e neve non paiono voler cessare l'azione di disturbo. Alle 18:18 Gasperoni comunica alla torre di controllo l'intenzione di scendere di quota per migliorare la visibilità. Due minuti dopo il silenzio cala inesorabile, l'aereo non risponde più, è scomparso.

La procedura per i soccorsi è immediatamente attivata eppure nel Milanese e nel Varesotto non c'è traccia di allarmi o di segnalazioni di aerei caduti. Una telefonata arriva invece ai carabinieri di Malé, in Val di Sole: alcuni contadini del paesello di Ossana hanno udito un terribile boato provenire dalla Val Perse, sotto la Cima Giner. Il rumore è ben diverso da quello di una slavina, ai più è parso come una vera e propria esplosione. Il meteo in Val di Sole è proibitivo in quei giorni antecedenti in Natale del 1956 eppure carabinieri, forestali e volontari riescono comunque ad assemblare una squadra di soccorso che si inerpica sulla montagna. Occorreranno quasi due giorni ai valligiani per raggiungere quota 2600 metri dove troveranno null'altro che pochi rottami anneriti, qualche effetto personale ed i corpi straziati dall'impatto con la montagna dei 21 occupanti del DC3 della LAI.

La Tragedia di Natale scuote l'opinione pubblica. E come spesso accade, prima ancora che si possa provvedere ad una autentica inchiesta da parte della magistratura è già tempo dei processi da parte della gente comune. Sull'ideale banco degli imputati finiscono in tre: la prima indiziata è la stessa LAI, la compagnia aerea, descritta come preda di una profonda crisi dovuta a tagli del bilancio ed a revisioni frettolose nella speranza di un accorpamento da parte dell'Alitalia per risolvere una situazione debitoria resasi insostenibile dopo appena dieci anni di attività. Poi si punta il dito contro l'aereo, il DC3 Dakota erede dei trasporti aerei utilizzati dagli Alleati nel corso della Seconda Guerra Mondiale: un velivolo vecchio, si dice, e ormai sorpassato, con buona pace di chi invece ne loda le doti di robustezza. Il terzo accusato è postumo: si tratta dello stesso comandante del DC3 caduto, Gasperoni, che secondo alcuni sarebbe stato imprudente, poco attento e persino sprovveduto tanto da uscire dall'aviovia e da perdersi tra i monti del Trentino, a centinaia di chilometri di distanza dalla destinazione.

Mentre magistratura e Parlamento si interrogano sul reale svolgimento dei fatti, una nuova tragedia colpisce la LAI: il 2 gennaio 1957 un altro aereo esce di pista nell'atterraggio a Reggio Calabria, fortunatamente senza causare vittime ma con diversi danni e parecchi feriti a bordo. Per la compagnia, controllata da privati e da un paio di grossi investitori stranieri, è il colpo di grazia, dopo la tragedia del Giner ed il precedente incidente di Parigi costato altri 34 morti tutti premono per una fusione con l'Alitalia. A tempo di record la commissione d'inchiesta consegna una relazione conclusiva in cui si accusa del disastro il defunto Gasperoni, reo di aver abbandonato la rotta a causa di un probabile malfunzionamento della strumentazione, mentre il personale a terra non viene neppure considerato nei lavori della commissione stessa. Più lungo l'iter della magistratura che si concluderà soltanto nel 1961 con una archiviazione: per i giudici istruttori di Trento la tragedia è da attribuirsi a circostanze sfortunate e fatali. Nel piccolo paese di Ossana resta la memoria di quel Natale con la neve candida macchiata dal sangue di 21 persone, con un memoriale che ancora oggi, con toccante umanità, ricorda ai visitatori tramite un particolarissimo presepe la terribile sciagura e la corsa contro il tempo dei valligiani per portare i soccorsi in alta quota.

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