Attacco a sorpresa

La Scimmia nello zodiaco cinese indica una scaltrezza positiva, intelligenza, talento, elasticità mentale, genialità. A differenza dell'opinione comune maturata in Occidente che identifica il primate con una bestia infida, fin troppo giocherellona e talvolta pigra o sleale, la scimmia per le popolazioni dell'Estremo Oriente è un animale dal profondo significato beneaugurante. Ed è con queste premesse, di un anno (della Scimmia, appunto) fecondo e ricco di novità positive, che nella notte tra il 30 ed il 31 gennaio 1968 le popolazioni vietnamite si preparano ad accogliere il nuovo segno zodiacale nell'inizio dell'anno secondo il calendario lunare. Il Têt è da sempre vissuto come un momento particolare, un po' come avveniva nel mondo classico mediterraneo con i giochi di Olimpia: la dimensione sacrale impone una sosta di qualunque ostilità, una tregua. Ed è quel che tutti in fondo si aspettano nell'ex Indocina divisa e devastata da anni di guerra.

Alla mezzanotte i fuochi d'artificio illuminano il cielo e nel sud del Paese un po' tutti, civili e militari, si godono lo spettacolo. Nessuno immagina che tra pochi istanti ai tradizionali botti seguiranno proiettili di artiglieria ed offensive terrestri. Neanche il contingente americano, presente in forze dal 1964, si aspetta qualcosa di diverso da una semplice festività locale e gli unici reparti in allarme sono quelli di stanza a Dak To e Khe Sanh, basi attaccate nelle settimane precedenti dall'esercito regolare del Nord e in permanente situazione di pericolo. Nel resto degli acquartieramenti il personale statunitense è generalmente rilassato, l'intelligence dell'US Army si è mantenuta attiva solo per i movimenti di truppe attorno a Khe Sanh ma confida nella consueta tregua del Têt, proclamata ufficialmente con la decisione di rispettare una settimana di "cessate il fuoco". Quanto le previsioni della vigilia fossero sbagliate, i soldati americani lo scopriranno solo pochi minuti dopo la mezzanotte.

Da mesi al Nord si lavora ad una grande offensiva. Dopo anni di guerriglia nella boscaglia e sulle alture, di scontri rapidi e di scaramucce, il Vietnam del Nord è pronto a sferrare un attacco totale sfruttando il fattore sorpresa. Il piano operativo è stato studiato dall'uomo che rappresenta una sorta di spauracchio vivente per gli Occidentali in Vietnam: si chiama Võ Nguyên Giáp, è un generale e pochi anni prima ha costretto alla resa i francesi a Dien Bien Phu con un assedio che ha scatenato una profonda crisi in seno alla casta militare ed alla politica del Paese transalpino. Si dice che Giáp sia freddo, calcolatore, spietato, che avesse un conto in sospeso con i francesi da quando la moglie fu arrestata per poi morire di tifo in una cella infestata dai topi. Si dice che abbia inventato lui i trabocchetti esplosivi sotto i cadaveri abbandonati, le trappole piene di vespe velenose, i tranelli nella giungla che massacrano i soldati con tronchi acuminati dentro fossati mascherati. Dove finisca la realtà e dove inizino le leggende non lo sa nessuno, tuttavia Giáp è uno stratega fenomenale che, dopo aver scacciato i francesi, sta affidando i suoi metodi anche contri gli americani che sono intervenuti per sostenere il regime del Sud. In realtà ad Hanoi Giáp non è certo ritenuto un estremista, anzi più di qualcuno della cerchia interna del partito comunista vietnamita lo ritiene sin troppo morbido e portato per la diplomazia: a riprova, Giáp esegue ma non è granché convinto dell'efficacia di una offensiva campale che coinvolga appieno sia l'esercito regolare nord-viet che il movimento Vietcong che finora ha sostenuto buona parte dello sforzo bellico nelle punture di spillo al Sud. Spinto dai falchi che vogliono una vittoria rapida per marcate le distanze dall'URSS ed ingraziarsi Mao che da tempo sostiene sottobanco lo sforzo bellico del Nord, Giáp elabora un piano strutturato che prevede l'impiego su vasta scala di forze mai messe in campo finora. Il Vietcong avrà il compito di sferrare l'offensiva nelle città maggiori del Sud mentre i regolari nord-viet, già impegnati in parte a Dak To e Khe Sanh, aggireranno il confine del 17esimo parallelo dove è posta la zona smilitarizzata che segna l'ideale confine tra i due Stati e attaccheranno la vecchia capitale imperiale di Hue, a sud del Fiume dei Profumi.

Poco dopo la mezzanotte del 31 gennaio le forze dell'offensiva di mettono in moto. Al terrificante cannoneggiamento che investe le basi americane di Kontum e Da Nang e precede gli assalti di terra, comunque respinti dai difensori degli accampamenti trincerati, si accompagna la penetrazione dei nord-viet che in poco più di 24 ore passano il confine con due divisioni di fanteria occupando Hue. A Saigon, capitale del Sud, gli statunitensi sono sotto shock dopo che una squadra suicida Vietcong attacca l'ambasciata USA e penetra all'interno dell'edificio prima di essere completamente liquidata: non era mai successo che il principale simbolo della presenza americana in Vietnam venisse violato. Per un paio di giorni le forze combinate del Nord e del Vietcong sembrano poter spadroneggiare approfittando tanto dell'inconsistenza delle forze del Sud quanto dell'impreparazione degli americani e dei loro alleati australiani. Dopo una veloce riorganizzazione il generale William C. Westmoreland ordina la controffensiva: gli obiettivi sono la ripresa di Hue e la salvezza di Khe Sanh, isolata e rifornita ormai solo dal cielo.

E' evidente che Giáp voglia fare di Khe Sanh una nuova Dien Bien Phu. Il piano tattico è il medesimo: perimetro circondato dalle fanterie, gli obici a martellare le posizioni, obiettivo vitale la pista dell'aeroporto - chiusa quella per i difensori non ci sarà scampo. Westmoreland si sta giocando una bella fetta di credibilità, solo pochi mesi prima aveva dichiarato ai suoi superiori a Washington che il nemico non aveva possibilità di vincere la guerra ed ora si ritrova con le spalle al muro: "Non verremo sconfitti, ripeto, non verremo sconfitti a Khe Sanh - dichiara alla stampa - Non ammetterò che si dica e nemmeno che si pensi il contrario". Sul campo però la situazione appare subito critica, i C-130 dell'aviazione non riescono neppure ad atterrare e scaricano i rifornimenti in pista con dei carrelli mobili dotati di paracadute riprendendo subito quota. Sulle alture circostanti i marines fanno il possibile contendendo ogni metro di terra agli attaccanti a prezzo di gravissime perdite. Solo dopo tre mesi di terribile assedio l'intervento della cavalleria aerea e dei paracadutisti della 101esima riesce finalmente a dare respiro ai difensori che comunque alla fine scelgono di abbandonare la posizione, demolendo la base.

A Hue la situazione è ugualmente complicata. I regolari del Nord hanno occupato l'intera città ed i sobborghi, inclusa la vecchia residenza imperiale che è una magnifica riproduzione architettonica della Città Proibita di Pechino. Westmoreland è irremovibile e vuole una riconquista completa, a costo di radere al suolo ogni casa: sul posto vengono fatti affluire consistenti rinforzi con mezzi anticarro M50 Ontos che, forti di sei cannoni senza rinculo, si rivelano utilissimi per distruggere i nidi di mitragliatrici. Per settimane si combatte casa per casa, con l'incubo delle imboscate e dei cecchini mentre i nord vietnamiti si ritirano passo passo lasciando dietro di loro morte e distruzione. Al termine della riconquista Hue è solo un cumulo di macerie fumanti, il 90% delle abitazioni è distrutto ed i profughi non si contano.

Se sul piano squisitamente militare e tattico l'Offensiva del Têt rappresenta un fallimento per il Nord, con Giáp che vince il confronto politico interno ad Hanoi imponendo la soppressione del Vietcong come forza combattente, in ambito politico gli USA sono devastati. Il presidente Lyndon B. Johnson, sconvolto da quanto avvenuto a Khe Sanh, medita il ritiro a vita privata a fine mandato e spiana inconsapevolmente la strada alla vittoria elettorale di Richard Nixon per le presidenziali; il suo consigliere speciale Robert McNamara vede fallire in un colpo solo la strategia di un conflitto a doppio binario, con lo US Army deputato solo a supportare le forze regolari del Sud. L'escalation in Vietnam diviene un argomento quotidiano di dibattito interno negli Stati Uniti, ampliando il fronte della contrarietà all'intervento diretto che diventa schiacciante dopo il massacro di My Lai, quando un plotone di ricognizione, attaccato dai Vietcong, reagisce uccidendo la popolazione inerme di un intero villaggio. Da quel momento in avanti gli USA saranno costretti a mediare tra la montante richiesta di un disimpegno da parte dell'opinione pubblica e la necessità di supportare il fragilissimo alleato sudvietnamita, sempre più sfiduciato ed esposto. Cinque anni dopo gli accordi di Parigi pilotati dal consigliere Henry Kissinger decreteranno la fine della guerra per gli Stati Uniti aprendo l'annosa questione morale della prima, cocente sconfitta del gigante americano.

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