Fine di un impero


Gli aeroporti sono a volte lo specchio della società e dell'attualità. Viaggiatori e personale aereo raccontano un vissuto ed un presente unici nella frenesia che coinvolge abitualmente le nostre esistenze. A volte gli scali aeroportuali sono testimoni o involontari protagonisti di fatti epocali, di eventi destinati a cambiare il volto di un Paese o del mondo intero. Sempre in maniera inconsapevole, nel dipanarsi secolare della tragedia umana. Il 16 gennaio 1979 qualcosa di particolare ed insolito accade a Teheran-Mehrabad. Una folla di militari, ministri, funzionari e cortigiani si assiepa al margine della pista dove staziona il Boeing "Aquila Imperiale", l'aereo privato dello Scià. Sono tutti in attesa di salutare l'imperatore e la sua ultima consorte, Farah Diba Palahvi, in procinto di imbarcarsi. Non è la prima volta che il sovrano assoluto di quella che un tempo era la Persia e che incarna in sé oltre venticinque secoli di tradizione parte per un viaggio all'estero. Tutti però sanno che stavolta si tratta di un volo di sola andata, di un addio, della partenza verso un lontano e definitivo esilio.

Mohammad Reza Pahlavi non ha ancora 60 anni, in quella mattina del gennaio 1979. Siede sul trono da quasi un trentennio ed è un interlocutore privilegiato in ambito internazionale con l'Occidente. Qualcuno l'ha definito come il guardiano del Golfo Persico per conto degli Stati Uniti, un'etichetta che nasconde a malapena il disprezzo di molti suoi sudditi per il quale è un apostata oltre che un tiranno sanguinario. Nato all'interno di una famiglia militare di origini caucasiche (la nonna era una georgiana di religione musulmana), ha appena due anni anni quando suo padre Reza Khan, comandante di quella Brigata Cosacca che fungeva da guardia imperiale, organizza il colpo di Stato che pone le basi per la caduta della dinastia Qajar, al potere da oltre un secolo. Inizialmente impostosi come uomo forte dietro le quinte, nel 1923 Rezah Khan costringe l'ultimo Scià dei Qajar all'esilio e dopo un biennio si fa riconoscere il titolo imperiale varando la dinastia del proprio casato. La Persia è ancora un Paese molto arretrato, legato al feudalesimo tribale e che vive con un senso di fastidio tanto la presenza inglese con le compagnie petrolifere quanto la vicina rivoluzione sovietica le cui folate giungono anche a Teheran. Sostenuto dai clan sciiti che temono la proclamazione di una repubblica sul modello kemalista turco, Reza Khan inizia a plasmare lo Stato in senso assolutistico con una prima modernizzazione: mentre iniziano le costruzioni di ferrovie, scuole ed università, i migliori studenti locali sono inviati in Europa perché possano poi riportare a casa tanto il sapere quanto i costumi sociali dell'Occidente. Nel 1935, dopo una disputa con gli inglesi, il Paese muta ufficialmente nome in Iran mentre da più parti si mormora sulle reali simpatie politiche dell'imperatore. Pare che Reza Khan sia sempre più insofferente della presenza britannica e della pressione dei sovietici a nord e che cerchi appoggi nei tedeschi che avrebbero promesso una nuova indipendenza in cambio della cacciata dei loro avversari e di una fornitura costante di petrolio. Che le voci siano o meno confermate, nel 1941 a seguito dell'Operazione Barbarossa sia gli Alleati che l'Armata Rossa intervengono occupando l'Iran e obbligando Reza Kahn ad abdicare. D'altronde l'erede designato c'è già e soprattutto ha la fiducia totale di Winston Churchill.

Mohammed Reza Pahlavi prende il posto del padre, spedito in Sudafrica dove morirà nel 1944, poche settimane prima di compiere ventidue anni. E' un imperatore indubbiamente giovane, che risente degli studi all'estero (si è formato in Svizzera e parla ottimamente inglese e francese oltre ad un italiano scolastico) ma che inizialmente non ha poteri: Stalin non si fida granché e gli stessi inglesi lo trattano più come un ospite di tutto riguardo che come il reale sovrano iraniano. Dopo la conferenza interalleata ospitata a Teheran, sono proprio gli Alleati a suggerire al monarca di abbandonare l'assolutismo paterno e di varare una costituzione al fine di favorire la transazione del Paese verso il XX secolo. Reza Pahlavi accetta ben sapendo che per almeno un po' di tempo sarà un capo di Stato sotto tutela estera.

Finito il conflitto in Europa, la prima grana politica si manifesta con il deflagrare della Guerra Fredda: gli inglesi chiedono ed ottengono che il Tudeh, il partito comunista filosovietico locale, sia messo al bando; a favorire la decisione dello Scià è una congiura che pare sia stata organizzata da alcuni membri del Tudeh per ucciderlo, un complotto che non produce conseguenze. Nel 1950 l'alleanza tra Reza Pahlavi ed i britannici entra in crisi quando, alla scadenza delle concessioni petrolifere, il Parlamento si oppone ad un nuovo contratto. Il primo ministro Ali Razmara, fautore di un rinnovo, viene ucciso da un estremista sciita ed al suo posto viene eletto Mohammad Mossadeq che si era già opposto ai Pahlavi in gioventù, quando era stato uno dei pochissimi a negare il voto di ratifica di nomina di Reza Kahn a Scià. Con l'appoggio del clero sciita, Mossadeq interrompe le trattative per il rinnovo delle concessioni e nazionalizza l'industria petrolifera scatenando una vera e propria crisi internazionale: spinto dalla diplomazia di Londra, Reza Pahlavi rimuove Mossadeq che però vanta un ampio consenso popolare tanto da provocare sommosse pubbliche. Lo scontro tra l'imperatore ed il premier diventa totale quando Mossadeq cerca di arrogare al Parlamento il controllo delle forze armate iraniane: Reza Pahlavi si rifugia temporaneamente a Roma con la scusa di una vacanza mentre la CIA e l'MI6 organizzano una congiura di palazzo diffondendo voci calunniose secondo le quali il primo ministro vorrebbe detronizzare lo Scià e proclamare una repubblica di tipo sovietico. La reazione dei militari, tutti fedeli alla corona, obbliga Mossadeq a capitolare e ad accettare una condanna a tre anni di carcere ed un successivo ritiro completo dalla politica.

Fallito l'esperimento costituzionale e con gli USA pronti a candidarsi al ruolo di garante al posto degli inglesi, Reza Pahlavi cambia strategia. A 34 anni torna all'autoritarismo paterno e rispolvera i grandi progetti di modernizzazione del Paese, firmando l'ingresso dell'Iran nella CENTO ed in un sistema sempre più atlantista. Sul fronte interno la ricchezza garantita dal petrolio viene reinvestita in riforme agrarie ed industriali spingendo le masse a muoversi verso le città per modificare la società persiana. Da Paese dedito all'agricoltura di base, l'Iran è oggetto di una poderosa spinta che ne accelera le abitudini mentre lo Scià oltre a promuovere la cultura e l'urbanizzazione introduce il suffragio universale e persino il divorzio, aprendo alle donne le prospettive di una parità sociale mai vissuta prima. Le riforme sono viste con favore dai poveri e dagli alleati occidentali ma non mancano i critici, specie nel clero che si vede privato di numerosi privilegi a cominciare dalla manomorta fondiaria. Per sostenere il peso delle proprie innovazioni ma anche per garantirsi l'assenza di qualsiasi critica Reza Pahlavi si affida sempre di più alla SAVAK, la polizia segreta che ha ampi poteri non solo di indagine ma di arresto e persino di tortura e di esecuzione dei dissidenti. Quello che dovrebbe essere un organismo di garanzia diviene uno strumento del terrore: basta poco per finire nelle liste nere del servizio di sicurezza che diviene sinonimo locale della Gestapo nazista. Tra i nemici dello Scià e della SAVAK si fa notare un sessantenne religioso dalla lunga barba bianca, dallo sguardo ipnotico e dalla voce ferma: è lui ad organizzare nel 1963 un tentativo di golpe che viene però stroncato sul nascere. I suoi complici sono tutti arrestati e condannati al patibolo ma non si può uccidere un ayatollah senza scatenare una protesta di piazza. Così Reza Pahlavi decreta l'espulsione e l'esilio di Ruhollah Mostafavi Mosavi Khomeyni, convinto di aver risolto il problema. La Storia deciderà altrimenti.

Il regno di Reza Pahlavi prosegue all'insegna della politica internazionale, in cui si segnala per essere il primo capo di Stato dell'area del Golfo a dialogare con Israele e per rompere il monopolio delle Sette Sorelle intavolando nuove trattative con l'ENI, prima con Enrico Mattei e poi con Eugenio Cefis. Nel 1971 lo Scià avvia gli sfarzosi festeggiamenti per i 2500 anni dell'Impero Persiano attirandosi nuove critiche che crescono ancora quando la sua Rivoluzione Bianca (così viene chiamato il processo di modernizzazione del Paese) entra in crisi. L'urbanizzazione delle masse contadine non risolve il problema della povertà, anzi lo acuisce perché nelle metropoli non c'è il lavoro promesso e molti cittadini patiscono la fame. L'intervento brutale della SAVAK che sequestra e massacra contadini e studenti completa l'opera mentre il clero sciita urla al tradimento quando il 31 dicembre 1977 il presidente USA Jimmy Carter viene ricevuto a palazzo e brinda al nuovo anno ed alla salute dell'imperatore con dello champagne ovviamente alcolico.

Il fronte degli oppositori del potere dello Scià diventa sempre più ampio. Ai comunisti si aggiungono in breve gli studenti, i religiosi, i contadini e persino i piccoli borghesi. Il 1978 è un anno disgraziato per Reza Pahlavi che vede il suo Paese sempre più oggetto di manifestazioni di protesta che esercito e SAVAK reprimono nel sangue. La goccia che fa traboccare il vaso è l'incendio di un cinema ad Abadan il 19 agosto che costa la vita a 430 persone: è una disgrazia dovuta all'imperizia del personale della sala ma gli oppositori sfruttano l'occasione per accusare la SAVAK di aver orchestrato la strage per uccidere degli innocenti ed intimidire l'opinione pubblica. Invece di cercare il dialogo lo Scià opta ancora per la mano pesante lasciando che il successivo 8 settembre l'esercito spari sulla folla radunata in piazza Jaleh a Teheran. Da quel momento in poi le grandi città si rivoltano pacificamente contro l'imperatore, al calar della sera gli slogan di protesta vengono scanditi dalle periferie con una voce unica da decine di milioni di iraniani che, sfidando la SAVAK, sintonizzano le loro radio su una stazione francese da cui Khomeyni trasmette i suoi sermoni e gli appelli alla resistenza. A dicembre, temendo di perdere completamente il controllo della situazione, Reza Pahlavi, che proprio dopo la fine dei festeggiamenti per il millenario compleanno dell'Impero ha scoperto di essersi ammalato di cancro, chiama al governo un allievo di Mossadeq. Shapur Bakhtiar, questo il suo nome, vorrebbe preparare la strada all'instaurazione di uno Stato liberale su modello della Turchia ma l'unico modo per attuare tale cambiamento passerebbe per l'abdicazione dell'imperatore. Sempre meno saldo sul trono, lo Scià temporeggia mentre le richieste di Khomeyni, che si dice disposto a tornare solo dopo una deposizione del sovrano, diventano sempre più pressanti. L'esercito a poco a poco abbandona le posizioni di presidio nelle città e si rinchiude nelle caserme, gli agenti della SAVAK preparano i documenti per l'espatrio subodorando la fine del regime.

La mattina del 16 gennaio 1979 Reza Pahlavi si reca all'aeroporto col suo seguito. Con lui c'è Farah Diba, la donna che ha sposato ripudiando la precedente moglie Soraya, oltre ad alcuni famigliari. Lo seguono consiglieri, cortigiani, alcuni generali e qualche ministro. Bakhtiar non c'è, sta cercando in ogni modo di evitare che la protesta generalizzata venga ora pilotata dagli estremisti. L'imperatore e la sua consorte baciano una copia del Corano e salgono sul Boeing, è lo stesso Reza Pahlavi a mettersi ai comandi dell'aereo che decolla compiendo un ultimo giro sui cieli di Teheran prima di volare verso Londra. I maligni affermano che "Aquila Imperiale" sia così carico di tesori rubati dal tiranno in fuga da faticare a staccare il carrello dal suolo mentre alla notizia della partenza dello Scià quasi tutta la capitale si riversa nelle strade a festeggiare. 

Il sogno di Bakhtiar di instaurare una repubblica laica durerà poche settimane: anche lui dovrà fuggire per evitare un plotone di esecuzione ordinato da Khomeyni che, ritornato a casa, varerà un modello di Stato islamico nuovo in cui il Diritto positivo è sottoposto all'approvazione preventiva della morale religiosa. Le esecuzioni sommarie di alti comandanti militari e di ex appartenenti al regime o presunti loro simpatizzanti insanguineranno il Paese mentre Reza Pahlavi, ormai morente, sceglierà di recarsi negli Stati Uniti per sperimentare una cura contro il cancro. Temendo che possa essere una manovra per chiedere l'aiuto della CIA come era avvenuto contro Mossadeq nel 1953, i giovani iraniani indottrinati dai mullah assalteranno l'ambasciata statunitense catturando il personale che verrà trattenuto in ostaggio, chiedendo in cambio la consegna dell'ex imperatore sul cui capo pende una condanna capitale. Resteranno delusi: il 27 luglio 1980 l'ultimo sovrano della Persia millenaria morirà, sconfitto dal tumore, e le sue spoglie mortali saranno tumulate al Cairo.

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