Il golpe in tricorno

I pagliacci sono figure comiche dell'arte circense riconoscibili per caratteristiche precise quali abbigliamento buffo, trucco facciale pesante, attrezzi di scena volutamente caricaturali e atteggiamento goffo. Eredi dei buffoni di corte, il loro scopo è provocare immediata ilarità negli spettatori con provocazioni surreali o attraverso improvvisate scene di parapiglia surreali. Un pagliaccio dunque fa ridere. Ma a volte i pagliacci irrompono nella vita reale scappando dal piccolo mondo del circo e creano uno scompiglio momentaneo. E non certo per far ridere.

Lo testimonia l'urlo che rimbomba sotto la volta delle Cortes a Madrid nel tardo pomeriggio del 23 febbraio 1981: "¡Quieto todo el mundo!", cioè "Fate tutti silenzio". A pronunciarlo è un militare, anzi un baffuto pagliaccio in tricorno, per usare le parole del corrispondente di "Repubblica" Saverio Tutino. Si chiama Antonio Tejero Molina, indossa la divisa di tenente colonnello della Guardia Civil (compreso il caratteristico copricapo) e brandisce in pugno la pistola d'ordinanza. Non è solo, l'ufficiale: al suo seguito ci sono decine di militi della Guardia Civil, armati di mitra, che tengono sotto tiro l'emiciclo parlamentare. Al momento dell'irruzione le Cortes, riunite per votare la fiducia all'esecutivo di Leopoldo Calvo-Sotelo, stanno ascoltando l'intervento del socialista Juan Manuel Núñez Encabo: le parole del deputato vengono interrotte dall'urlo di Tejero che spara alcuni colpi in aria per ottenere l'assoluto silenzio in aula.

Il viso incorniciato da un paio di pittoreschi baffoni, lo sguardo truce, Tejero è inquadrato per una mezz'ora dalle telecamere della televisione che stavano seguendo la diretta del voto parlamentare. Per gli spagnoli, il volto dell'ufficiale è assolutamente nuovo; per i vertici militari invece quel nome è uno sgradito ricordo di tempi che si pensavano superati. Tejero non ha ancora compiuto 49 anni ma aveva già avuto guai con la giustizia. Nel 1979 il colonnello era stato condannato a sette mesi di arresti in fortezza per aver progettato un tentativo di colpo di Stato noto col nome in codice di "Operacion Galaxia": con lui nell'occasione dovevano intervenire diversi alti ufficiali nostalgici del franchismo per imprimere una svolta autoritaria al Paese che da qualche anno sta faticosamente ritrovando una strada verso la democrazia dopo quattro decenni di dittatura. Il piano tuttavia era emerso prima dell'attuazione portando ad alcuni arresti e ad un processo militare con pene tutto sommato lievi. Tejero aveva pagato anche per altri ma non aveva perso l'incarico, né il grado o il diritto alla pensione. E aveva pensato di riprovarci alla prossima occasione.

La scomparsa del Caudillo nel novembre 1975 aveva segnato uno spartiacque in Spagna. Dalla vittoria nella guerra civile in poi, Francisco Franco aveva governato con pugno di ferro reprimendo il dissenso e improntando lo Stato su un modello fascista privo però della componente corporativa di stampo portoghese o italiano. Già malato, il generalissimo aveva nominato l'ammiraglio Luis Carrero Blanco il proprio successore ma aveva fatto i conti senza l'ETA: il 20 dicembre 1973 i separatisti baschi uccisero con un potente ordigno esplosivo il delfino del franchismo obbligando il Caudillo ad un repentino cambio di strategia optando per il moderato Carlos Arias Navarro come araldo della transizione del Paese verso il ritorno al potere della casata dei Borbone - il nuovo capo di Stato era stato individuato in Juan Carlos, nipote dell'ultimo sovrano Alfonso XIII. Dal 1976 in avanti la Spagna aveva iniziato una lenta fase di passaggio da uno Stato totalitario ad una democrazia parlamentare. La transizione si era annunciata particolarmente difficile giacché parecchi esponenti del vecchio regime avevano deciso di scongiurare il più possibile l'apertura ad uno Stato liberale moderno. Il 24 gennaio 1977 un commando a volto coperto aveva compiuto in Calle de Atocha a Madrid il massacro degli avvocati dei sindacati, uccidendo a mitragliate cinque legali e ferendone altri quattro. La reazione civile e composta del Paese di fronte alla carneficina aveva reso impossibile la decretazione dello stato d'emergenza ed il ritorno dei militari al potere, infrangendo i piani degli ignoti assassini. Due anni dopo l'Operacion Galaxia aveva provato a ridare fiato al franchismo agonizzante senza però riuscirci.

L'azione del 23 febbraio pare alle prime avvisaglie la pazzia di un uomo solo. Tejero è una furia, fa partire una sventagliata di mitra verso i banchi dei socialisti per farli tenere accucciati dietro gli scranni. Il capo di Alleanza Popolare Manuel Fraga Iribarne, pur vantando simpatie tra i militari, cerca di alzare la voce, dice di non riconoscere l'autorità di nessuno se non del sovrano e cerca di ribellarsi quando vede i leader dei partiti di sinistra portati in un'altra stanza: "Sparatemi se volete, siete dei traditori!". Tejero risale le scale dell'emiciclo, lo guarda in faccia e gli sibila di rimettersi a sedere senza fare troppe storie. A voce alta l'ufficiale proclama di essere intervenuto per salvare lo Stato, denuncia la legalizzazione del partito comunista avvenuta quattro anni prima come un tradimento e dice di attendere l'arrivo di una autorità superiore cui cedere il comando e l'onere di formare un governo. Quando in piena notte si presenta alla porta delle Cortes il generale Alfonso Armada Comyn tutti pensano che sia lui il capo della congiura: in effetti per un paio d'ore Armada e Tejero discutono animatamente in una delle sale della segreteria, ma il generale non è venuto ad assumere il potere quanto piuttosto per offrirsi come mediatore della crisi. Tejero, furibondo, respinge le sue proposte di resa e lo fa accompagnare alla porta dai suoi soldati.

Il colonnello della Guardia Civil non è l'unico ufficiale ad essersi ribellato. A Valencia il comandante militare della regione, Jaime Milans del Bosch, ha decretato la legge marziale e ha ordinato l'allestimento di presidi con i carri armati lungo le strade. Per gli ultimi simpatizzanti del franchismo, Milans del Bosch è una leggenda vivente: già reduce dell'assedio dell'Alcázar di Toledo durante la guerra civile, era stato volontario nella Division Azul alleata dei nazisti sul fronte sovietico e ha comandato la divisione corazzata "Brunete", punta di diamante dell'Ejército de Tierra sino al 1977 quando è stato promosso a capo della Terza Regione. Il generale dovrebbe essere simbolo da seguire per i golpisti ma quasi nessuno lo imita, anzi qualcosa scompagina i piani dei congiurati. Se ne accorge un altro generale, Torres Rojas, che in contemporanea con il sollevamento di Tejero si reca nella caserma della "Brunete" con l'intenzione di rilevare il comando dal collega Juste, se occorre anche ricorrendo alla forza. Torres Rojas non solo trova Juste determinato a non cedere ma finisce ai ferri scoprendo che i soldati non hanno nessuna intenzione di tradire il re.

Ed è proprio Juan Carlos I a gelare le speranze dei golpisti. Informato del golpe, il capo di Stato passa tre ore al telefono con i principali comandanti delle unità militari assicurandosene la piena fedeltà - l'unico a non rispondere alle chiamate è Milans del Bosch, ovviamente. Mentre Armada si reca alle Cortes, Juan Carlos indossa l'uniforme ed appare in televisione per rassicurare i sudditi, sconfessare i traditori, richiamare il rispetto della Costituzione e rivolgere un appello fermo ma non violento a tutti i soldati di Spagna. Il re non è solo, con lui c'è anche la Generalitat catalana il cui presidente Jordi Pujol ha già parlato alla radio invitando la popolazione alla calma ed al rispetto delle istituzioni nazionali. "Bel lavoro Pujol, stai tranquillo, non vinceranno", gli dice il sovrano con tono rassicurante in una telefonata nel cuore della notte mentre i reparti lealisti prendono posizione davanti alle Cortes. A Valencia Milans del Bosch attende sino all'alba, poi si rende conto di essere isolato e che i suoi stessi soldati non gli ubbidiscono più rientrando in caserma ed abbandonando le postazioni nelle strade. Alle cinque del mattino del 24 febbraio il generale si arrende e viene arrestato.

Tejero resiste invece. Dopo la fallita missione di Armada ed il proclama televisivo del re, alcuni dei suoi sottoposti hanno gettato le armi e sono scappati: ai soldati che li hanno catturati fuori dal palazzo delle Cortes dicono di essere stati ingannati dal loro comandante che aveva raccontato loro che li aveva mobilitati per una operazione antiterrorismo, per stanare gli uomini dell'ETA o per individuare la prigione in cui sono tenuti nascosti i consoli onorari di Uruguay, Austria e Salvador sequestrati alcune settimane prima dai baschi. Che siano versioni veritiere o bugie di convenienza, poco importa. Rimasto con un pugno di uomini e di fronte al più completo isolamento, alle dieci del mattino Tejero getta la spugna e dichiara che si arrenderà a mezzogiorno ai generali nel palazzo del Pardo, la vecchia residenza personale di Franco, quasi a voler lanciare un ultimo messaggio all'indirizzo di chi gli aveva promesso appoggio salvo voltargli le spalle.

Il destino del baffuto pagliaccio in tricorno è segnato. Stavolta i giudici militari non mostrano indulgenza ed il fatto che Tejero si assuma l'intera responsabilità scagionando i militi che lo avevano accompagnato assume una rilevanza ancor maggiore. Condannato per alto tradimento, verrà espulso dalle Forze Armate, privato del grado e della pensione e condannato a vent'anni di reclusione. Nel 1982 proverà ad uscire di galera candidandosi alle elezioni ma il suo partito prenderà pochissimi voti. Nel 1996 con un permesso sulla parola terminerà la sua vita da carcerato, dandosi alla scrittura ed alla pittura ma senza mai rinnegare le sue simpatie franchiste: faranno discutere le sue parole in omaggio di Pinochet alla morte del dittatore cileno nel 2006 mentre nel 2019 il figlio di Tejero, Ramón, officerà come sacerdote l'esumazione e la traslazione della salma di Franco dalla Valle de los Caídos in una tomba di famiglia privata.

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