Il re ragazzino

"Vostra Maestà, vi saluto come sovrano del Regno. Da questo momento sarete voi ad esercitare il pieno potere". Le parole del generale Dušan Simović non destano particolare sorpresa in Petar Karađorđević quando la mattina del 27 marzo 1941 un corposo drappello di truppe circonda il palazzo reale di Belgrado. Per il giovane rampollo della dinastia regnante serba il periodo dell'innocenza, già bruscamente caratterizzato dalla morte violenta del padre, è destinato a concludersi per un ingresso nell'età adulta foriero di preoccupazioni nel pieno della tempesta bellica che sta sconvolgendo l'Europa. Ma Pietro rappresenta molto di più, è un simbolo di speranza per una nazione divisa al suo interno e che chiede a gran voce di non essere coinvolta nella guerra scatenata dalla Germania nazista.

Figlio maggiore di Maria di Romania e di Alessandro I, Pietro ha appena undici anni quando suo padre, il primo sovrano del Regno di Jugoslavia sorto dalla Grande Guerra, viene assassinato a Marsiglia dagli Ustascia di Ante Pavelic. Alessandro aveva plasmato lo Stato balcanico inizialmente come una democrazia federale salvo virare verso la dittatura dopo essersi accorto delle eccessive frizioni politiche ed etniche presenti al suo interno. La sua uccisione nel corso di una visita diplomatica di cortesia in Francia aveva destato scandalo a livello internazionale oltre ad una crisi con l'Italia fascista, accusata a ragion veduta di aver armato la mano degli assassini. Pietro dovrebbe salire al trono immediatamente ma la sua giovane età rappresenta un problema che deve essere aggirato con la presenza di un reggente, individuato nella figura del cugino del monarca assassinato, il principe Paolo.

Il reggente tuttavia non ha lo stesso polso del suo predecessore. Pur conscio della pericolosità degli Ustascia e delle mire del bellicoso vicino italiano, Paolo cerca l'appoggio proprio di Mussolini per rinsaldare il proprio fragile Paese salvo cambiare idea quando l'Italia stringe la mortale alleanza con la Germania e si impadronisce della piccola Albania. Solo di fronte alla pericolosità della situazione il reggente cambia strada e cerca di disinnescare le tensioni interne con la creazione della Banovina di Croazia, una enorme provincia indipendente sotto il controllo dell'HSS, il Partito Contadino Croato. La mossa, suggerita dal primo ministro Dragiša Cvetković, dovrebbe mettere all'angolo gli estremisti di Pavelic che invece continuano a soffiare sul fuoco della ribellione. Lo stesso Cvetković è costretto a muoversi su un terreno delicato, stretto tra le pressioni dell'Asse, le mire espansionistiche italiane, le richieste inglesi di neutralità e la simpatia manifestata verso la Grecia di Metaxas.

Dal palazzo reale in cui è confinato quasi come un ostaggio di riguardo, Pietro assiste allo scoppio della guerra, alle conquiste-lampo tedesche, alle velleità di Mussolini di un conflitto parallelo con l'aggressione alla Grecia. Pur essendo ancora una ragazzo, il giovane erede della dinastia serba è perfettamente consapevole della situazione delicata ma non ha alcun potere visto che il principe Paolo continua ad agire in sua vece, forte di un ruolo riconosciutogli dal governo a discapito dell'età ritenuta inappropriata del legittimo sovrano. Nessuno vorrebbe vedere un minorenne sul trono, chiamato oltretutto a guidare un Paese così complesso in un periodo tanto difficile.

All'inizio del 1941 il conflitto vede la Germania in posizione di forza, pur avendo fallito gli obiettivi della Battaglia d'Inghilterra; l'Italia invece è in crisi a causa dei rovesci patiti in Africa e nei Balcani oltre che sui mari. Proprio il quadro critico dell'alleato meridionale spinge Hitler a cercare una soluzione per chiudere al più presto ed in maniera risolutiva la disastrosa campagna ellenica e, dopo aver inviato Rommel in Libia per salvare il salvabile dell'ormai ex impero coloniale fascista, dà mandato ai suoi diplomatici di esercitare pressioni su Belgrado affinché la Jugoslavia si decida a schierarsi con l'Asse. Cvetković ed il reggente Paolo inizialmente tentennano, non vorrebbero dover prendere una posizione ma subiscono ogni genere di richieste, da possibili cessioni territoriali a favore dell'Ungheria al trasferimento delle riserve alimentari alle truppe tedesche di stanza in Bulgaria ed a guardia dei pozzi petroliferi di Ploesti. Esasperati e ad un passo dall'essere minacciati da una vera e propria invasione militare, i due governanti cedono ed il 25 marzo a Vienna accettano di aderire all'alleanza guidata dalla Germania.

L'annuncio dell'ingresso nell'Asse scatena immediati moti di piazza, a Belgrado decine di migliaia di cittadini si riversano in strada per protestare contro la decisione, chiedendo di denunciare il patto e di tornare ad una prudente neutralità. Il segnale che giunge dalla popolazione non coglie impreparati i servizi segreti di Sua Maestà che prendono contatto con lo Stato Maggiore dell'esercito jugoslavo guidato da Simović suggerendo di deporre il reggente ed il primo ministro per varare una giunta militare che sconfessi immediatamente il trattato appena sottoscritto. Simović è uno degli alti ufficiali maggiormente critici verso l'Esecutivo, teme che la Jugoslavia possa finire in una situazione subalterna simile a quella della Romania o peggio che possa essere smembrata come già avvenuto alla fu Cecoslovacchia per soddisfare l'appetito di Mussolini. In appena 24 ore il generale convoca i suoi più fidati collaboratori ed espone loro un piano d'azione ardito ma che potrebbe cambiare la storia del loro Paese. La mattina del 27 marzo 1941 lo stesso Simović si mette alla testa di un reggimento di fanteria che rapidamente marcia sul palazzo reale mentre un altro reggimento si impadronisce degli uffici governativi. Le guardie reali sono fedeli al principe Paolo ed inizialmente prendono posizione per sparare sui loro commilitoni ma a fermarle, inaspettatamente, è Pietro che, scendendo in tutta fretta calandosi da una finestra al primo piano attraverso una grondaia, corre in cortile. Quel gesto coraggioso induce la guardia reale ad abbassare le armi mentre Simović si inginocchia: è il segno di riconoscimento della potestà regale al non ancora diciottenne Pietro cui viene attribuita con qualche mese di anticipo sul calendario la maggiore età e dunque l'emancipazione personale e la piena capacità di esercitare le sue funzioni di Capo di Stato. Contestualmente il reggente ed il primo ministro finiscono agli arresti mentre un corteo di veicoli parte dal palazzo diretto verso il centro della capitale. Accolto da ali di folla festante, Pietro raggiunge il Parlamento dove è proclamato re di Jugoslavia.

Il primo atto ufficiale del nuovo sovrano è quello atteso tanto dai congiurati quanto dagli inglesi, Pietro denuncia immediatamente il trattato sottoscritto appena due giorni prima e proclama la repentina uscita del suo regno dall'Asse. Se a Belgrado si festeggia per le strade, a Roma si urla al tradimento ed a Berlino si medita sulla necessità di rinviare la già programmata invasione dell'Unione Sovietica per risolvere alla radice il problema balcanico. In appena una settimana di tempo l'OKW stila un piano d'intervento concentrico che coinvolge anche Italia, Ungheria, Romania e Bulgaria, una aggressione senza precedenti con data d'intervento fissata per il 6 aprile successivo, ironia della sorte il giorno prescelto dalla figlia del generale Simović, neo primo ministro, per le proprie nozze. All'alba del 6 aprile 1941 le divisioni tedesche ed italiane si mettono in marcia da varie direttrici travolgendo la resistenza delle impreparate truppe jugoslave mentre l'aviazione del Regno è annientata al suolo. Su Belgrado si scatena un terribile bombardamento, una tempesta di fuoco dal cielo di tre giorni che distrugge in maniera quasi completa la capitale. Pietro ottiene la promessa di aiuti da parte degli inglesi ma deve rassegnarsi quando anche gli ungheresi, infrangendo un patto di non aggressione siglato tempo addietro, invadono il suo Paese - il capo del governo magiaro, travolto dalla vergogna, preferisce suicidarsi nel proprio ufficio. Al nono giorno di invasione la Jugoslavia ormai non esiste più e Pietro, con la sua famiglia e l'ex reggente, scappa in aereo a Gerusalemme mentre Pavelic ottiene la nascita di uno Stato croato con Aimone di Savoia quale teorico sovrano ma in realtà nelle mani sanguinarie dello stesso Poglavnik. Il sovrano diciassettenne che regnò per poche settimane non rivedrà più la sua Belgrado: concluso il conflitto, sarà bandito dalla nuova Jugoslavia socialista di Tito e morirà ad appena 47 anni in seguito ad un fallito trapianto di fegato a Denver, nel Colorado. Le sue spoglie mortali torneranno infine in patria nel 2007 venendo tumulate assieme a quelle della consorte Alexandra nel mausoleo reale di Oplenac.

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