Da paradiso ad inferno

Un paradiso in terra, spiagge meravigliose, paesaggi mozzafiato, i castelli dei crociati, le tradizioni multiculturali, la ricchezza bancaria da "Svizzera del Medio Oriente". Il Libano di inizio anni '70 aveva davvero tutto per realizzare i sogni di chiunque, anche di un bancarottiere come Felice Riva che dopo aver distrutto il patrimonio del Gruppo tessile Vallesusa aveva scelto di godersi la dorata latitanza all'ombra dei celeberrimi cedri, gustando cockatil sulla terrazza di uno dei tanti hotel di lusso che si affacciano sulla Corniche, il lungomare di Beirut che per decenni rivaleggia a pieno titolo con la Costa Azzurra. Eppure anche il più bel paradiso può tramutarsi in un inferno in terra. Basta poco per scatenare la devastazione, a volte è sufficiente un pretesto. O una rapida sparatoria.

Il 13 aprile 1975 è una domenica assolata, con i classici profumi mediterranei che si diffondono tra il lungomare e le strade che risalgono le periferie di Beirut sino alle colline soprastanti il cuore della città. Per i cristiani maroniti è un giorno festivo da celebrare con la funzione religiosa ma nella frazione di ʿAyn al-Rummāna quella domenica non è esattamente una giornata qualsiasi: la comunità maronita infatti si appresta a consacrare con una messa la nuova chiesa e per questo motivo il sagrato è pieno di gente. Tra le persone che si apprestano ad entrare nell'edificio sacro c'è un uomo distinto, un settantenne vestito all'occidentale, che in tanti chiamano "papa" alla francese e la cui presenza aumenta il significato della cerimonia. Non è un vescovo né un sacerdote, è un vecchio parlamentare che è considerato tra i padri dell'indipendenza nazionale oltre che un paladino della sua comunità. Quell'uomo è Pierre Gemayel.

Nato nel 1905 in un villaggio a Nord-Est di Beirut, Pierre Gemayel fa parte di una stimatissima famiglia maronita: i suoi antenati, giunti in Libano come rifugiati dopo essere scappati dal Cairo per motivi politici, hanno costituito una fiorente attività prima di commercio e poi di notariato. Il giovane Pierre viene mandato al collegio dei Gesuiti per i primi studi e poi si trasferisce a Beirut per studiare alla Facoltà di Medicina. A fine anni '20 apre nella capitale una farmacia ma più che di rimedi e ricette per la salute si occupa volentieri di sport e di politica. Come capitano della squadra olimpica libanese di calcio, nel 1936 è ospite della Germania nazista ai Giochi di Berlino ed in quell'occasione rimane affascinato dalla ferrea organizzazione del regime hitleriano di cui rifugge però l'ideologia razzista. Al ritorno in patria, il trentunenne Pierre imprime una decisa svolta alla propria vita, abbandona il mondo sportivo e si dedica alla creazione di un partito militante che rappresenti i maroniti nel complicato calderone libanese. Il nome prescelto per trasmettere il desiderio di ordine, disciplina e dominio è Kataeb', Falange.

Gemayel non è solo nella sua opera, con lui ci sono altri maroniti come William Hawi e Charles Helou che desiderano fornire una maggiore capacità di azione ai cristiani libanesi. Nei primi tempi Kataeb' è debole, sicché Hawi propone di copiare un altro assetto del nazifascismo vale a dire dotare il partito di una milizia paramilitare che da un lato protegga i capi dalla repressione dei francesi e dall'altro consenta di primeggiare nell'agone politico locale anche cercando lo scontro con i rivali sia maroniti che delle altre confessioni. Nel 1943, con la Francia nel caos ed il Libano sotto il controllo nominale dei collaborazionisti di Vichy, Gemayel è uno dei firmatari del Patto Nazionale, un compromesso interconfessionale in nome della causa indipendentista: maroniti, sunniti, sciiti, greco-ortodossi, drusi mettono da parte le divergenze e definiscono il Libano come un Paese "a fisionomia araba", una complicata formula che sottintende la rinuncia dei cristiani alla tutela francese e il rifiuto da parte dei musulmani di cercare l'abbraccio con i vicini siriani. Il primo tentativo indipendentista è stroncato dai Francesi Liberi di de Gaulle, tanto che Gemayel e gli altri politici finiscono in carcere, ma il 22 novembre 1943 le autorità Alleate decidono di liberare i prigionieri e di avviare la strada per l'indipendenza, effettiva a partire dall'estate del 1945.

Col passare degli anni, Pierre Gemayel si scopre ambizioso. Kataeb', la sua creatura, è cresciuta e c'è spazio per una scalata al potere. Sulla sua strada si frappongono tuttavia diversi ostacoli: uno di questi è Camille Chamoun, altro notabile maronita che nel 1952 viene eletto presidente della giovane Repubblica. Anche Chamoun è maronita - secondo il Patto Nazionale, il ruolo di Capo dello Stato spetta di diritto ai fedeli di San Marone - e soprattutto è un uomo scaltro che ha colto l'importanza di affiancare la diplomazia classica ad un uso ragionato della forza: Chamoun ha deciso di imitare Gemayel costituendo una sua milizia privata, le Tigri, a supporto del Partito Nazionale Liberale che lo sostiene. Nel 1958 però la presidenza Chamoun entra in crisi, i drusi di Jumblatt richiamati dalla rivoluzione irachena e dal panarabismo di Nasser premono per una revisione forzata del Patto Nazionale e scatenano la guerriglia. Chamoun chiama in soccorso i marines americani che sbarcano a Beirut ma nell'occasione anche la Falange di Gemayel affianca l'esercito libanese nel riportare l'ordine tra le strade. Se la figura di Chamoun tramonta, travolta dalla crisi politica e militare, Gemayel avrebbe le carte in regola per ambire alla successione tanto che Kataeb' assume un ruolo preminente nel Parlamento e lo stesso Pierre ottiene l'elezione a deputato e la nomina a ministro. Ma per tanti libanesi le posizioni di Gemayel sono troppo contraddittorie per non dire estremistiche, Pierre simpatizza per i palestinesi ma al contempo tratta con Israele, inoltre in pubblico proclama di voler dare maggior forza ai maroniti lasciando intendere che ciò possa comportare una diminuzione per i gruppi confessionali meno numerosi e dunque più deboli. Alle elezioni presidenziali del 1964 e del 1970 Pierre Gemayel si presenta come candidato teoricamente da battere ma viene puntualmente sconfitto, nella prima occasione dal vecchio amico Helou e nel secondo caso da Souleiman Frangieh, altro grande esponente della comunità maronita che si è dotato di una milizia privata. Il 1970 rappresenta però l'anno di svolta per il Libano, in settembre la convivenza impossibile delle organizzazioni terroristiche palestinesi nella vicina Giordania tocca un punto di non ritorno. I palestinesi non solo taglieggiano la popolazione e sfruttano i campi profughi sorti dopo la Guerra dei Sei Giorni per lanciare attacchi continui ad Israele, provocando ovvie ritorsioni delle IDF, ma arrivano a dirottare ad Amman aerei svizzeri ed americani ed a complottare per uccidere re Hussein. Il sovrano hascemita decide di averne abbastanza di quegli ospiti sgraditi ed il 16 settembre dichiara la legge marziale scatenando la Legione Araba che viene autorizzata a massacrare chiunque si trovi nei campi. La reazione è furibonda, l'OLP chiama in aiuto la Siria e Hussein si rivolge al nume tutelare statunitense che mobilita l'aviazione israeliana. A fine mese giunge un accordo di cessate il fuoco, i guerriglieri superstiti e i profughi traslocano nelle settimane successive verso il Libano mentre in Siria Assad prende il potere ed in Egitto Nasser muore per infarto. Il pacifico Libano si ritrova ora nell'occhio del ciclone giacché l'arrivo dei palestinesi apporta uno squilibrio demografico rispetto ai delicati rapporti stabiliti nel Patto Nazionale, oltre a richiamare in zona tanto milizie spietate quanto il rischio di rappresaglie israeliane.

Gemayel sa benissimo cosa significhi accordare ospitalità agli uomini di Arafat e di Habbash e si oppone in ogni modo ma resta inascoltato. In compenso, gli stessi palestinesi lo inseriscono in cima all'elenco dei propri nemici e cominciano ad escogitare metodi di eliminazione di un avversario forte e pericoloso, tanto che Kataeb' organizza una scorta continua per il proprio patriarca. Domenica 13 aprile Pierre Gemayel è sul sagrato della chiesa di ʿAyn al-Rummāna, circondato dai popolani ma anche da un drappello di falangisti che gli guardano le spalle: è uno di questi che si accorge dell'arrivo improvviso di una vettura sulla piazza, un'automobile che risulterà rubata da cui scendono quattro palestinesi armati fino ai denti. I guerriglieri aprono il fuoco sulla folla per meno di due minuti, poi risalgono in auto e ripartono a tutta velocità. Pierre Gemayel, scaraventato a terra da uno dei suoi guardaspalle, si rialza: è illeso, quasi un miracolo. Sul sagrato invece restano due dei suoi miliziani ed un paio di popolani, altre sette persone incluso il prete maronita sono ferite.

Sul posto accorre William Hawi, il capo militare di Kataeb' e vecchio amico e collaboratore di papa Gemayel. Hawi non ha dubbi, l'obiettivo era lui, il fondatore della Falange, ed i mandanti di quel tentativo di assassinio non possono che essere i leader palestinesi. Pierre Gemayel è portato al sicuro nella sede del partito mentre i falangisti sono richiamati in armi, c'è una vendetta da consumare. Da un'informativa della polizia libanese Hawi viene a conoscenza del prossimo passaggio a pochi chilometri di distanza, nella zona di Mansour, di un autobus requisito dal Fronte Popolare di Habbash, ufficialmente per trasportare dei malati all'ospedale di Beirut. Le Falangi tendono allora la trappola, aspettano il pullman e lo assaltano: a bordo non ci sono feriti ma guerriglieri che vengono accerchiati e massacrati senza pietà. Occhio per occhio. Quello che dovrebbe essere un regolamento di conti isolato però si rivelerà in qualcosa di ben peggio: saputo dell'assalto all'autobus, Habbash dichiara guerra al Kataeb', imitato da Arafat. Con i falangisti si schierano inizialmente gli Amal, la milizia sciita di Nabih Berri che da tempo è insofferente della presenza palestinese. In soccorso dei terroristi arriva però Jumblatt che dal 1958 cova propositi di rivincita nei confronti dei maroniti. Il paradiso diviene rapidamente un inferno, l'equilibrio si sfalda, nelle strade si inizia a combattere prima con armi automatiche e poi con artiglieria e mezzi corazzati. Il presidente Frangieh, in scadenza di mandato, chiama Assad a Damasco e gli chiede di intervenire per aiutare l'esercito libanese a riportare l'ordine ma è un appello equivalente all'invito ad una faina per entrare in un pollaio. La Svizzera del Medio Oriente muore tra esplosioni, battaglie nelle strade, attacchi suicidi, assassini mirati e massacri di civili inermi.

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