Errore tecnico o umano?

"Abbiamo fatto tutto correttamente, non capisco cosa sia successo". La faccia ustionata dalle radiazioni, l'ingegnere Aleksandr Fëdorovič Akimov continua a ripetere quelle due frasi come un mantra anche quando scende nel locale pompe per aprire manualmente le valvole idrauliche al fine di garantire un afflusso d'acqua al reattore e contenere il disastro. Mentre il suo diretto responsabile Anatolij Stepanovič Djatlov continua a sbraitare affermando che l'incompetenza dei suoi sottoposti abbia causato l'esplosione di un serbatoio di liquido refrigerante, il supervisore ed i suoi colleghi non si fanno illusioni e sanno benissimo cosa sia successo in realtà. E' la notte del 26 aprile 1986 ed il nome di una oscura località dell'Ucraina sta per diventare sinonimo di incubo nucleare per tutto il mondo.

La centrale di Černobyl' si trova a soli 16 chilometri dal confine con la Bielorussia ed a 130 da Kiev, capitale dell'Ucraina. Aperta ufficialmente nel 1977, dal 1983 opera con quattro reattori RBMK-1000 (moderati a grafite e refrigerati ad acqua) per la produzione di energia elettrica, soddisfacendo circa il 10% del fabbisogno industriale e domestico dello Stato. Il modello RBMK-1000 è ampiamente usato nel periodo poiché presenta costi di realizzazione più contenuti rispetto ad altre tipologie di reattore garantendo al contempo una buona capacità produttiva anche di plutonio, elemento utilizzato in ambito militare. Ma quel tipo di reattore conserva dei difetti, a cominciare da un elevato coefficiente di vuoto positivo - indice di riempimento di vapore rispetto al volume normalmente occupato dalla miscela liquido-vapore della reazione, anche a basse potenze termiche - per proseguire con l'ampia presenza di grafite, un elemento che dovrebbe moderare la reazione nucleare ma che consente ai neutroni di continuare a riprodursi anche in assenza di liquido refrigerante facendo aumentare la temperatura del nocciolo.

Dal suo completamento nel 1983 il reattore 4 ha dovuto più volte rinviare l'effettuazione di un test di sicurezza, una misura ideata per verificarne la capacità di funzionamento anche in situazioni di crisi come ad esempio il mancato afflusso automatico del refrigerante. Il 25 aprile 1984 è il giorno prescelto dal direttore e costruttore dell'impianto, Brjuchanov, per eseguire tale test ma anche stavolta pare che si debba rimandare: a procedure già avviate, con la riduzione della potenza e la disabilitazione del sistema d'emergenza di raffreddamento, arriva l'ordine di interrompere il test perché le industrie della regione di Kiev necessitano di elettricità dopo che una grossa centrale nel sud dell'Ucraina ha accusato un guasto improvviso. Al cambio del turno in sala controllo nel pomeriggio il personale subentrato viene a conoscenza del test e decide di avvertire Djatlov e di mantenere invariata la potenza del reattore. Uomo capace e risoluto ma eccessivamente collerico e dai modi dittatoriali, Djatlov si dimostra estremamente seccato quando gli comunicano per telefono l'ennesima dilazione temporale del test e decide di assumerne direttamente il controllo a partire dal turno di notte, prendendo su di sé la responsabilità di condurre sino in fondo l'intera operazione.

Alle 23 Djatlov arriva alla centrale, riserva uno dei suoi scatti d'ira al caposala smontante Tregub prima di supervisionare il subentro della nuova squadra capitanata da Akimov e composta anche dai giovani ingegneri Toptunov, Stoljarčuk e Kersenbaum. L'ordine è di ridurre la potenza al minimo inserendo tutte le barre di controllo per indurre il reattore ad una situazione di operatività assai bassa: qui si verifica il primo di una serie di errori fatali giacché la potenza crolla ad appena 30 megawatt. Djatlov sbraita, capisce che il reattore è avvelenato dalla produzione di xeno-135 che invece di essere bruciato si è accumulato condizionando l'attività dell'impianto. Le precauzioni indurrebbero ad interrompere il test per riportare gradualmente il reattore in una condizione di sicurezza ma Djatlov, adirato come non mai per l'ennesimo inconveniente, non ne vuole sapere e minaccia di licenziamento chiunque pensi di contraddire i suoi ordini: il vice-capo ingegnere non sa che lo xeno sta mascherando l'attività reale del reattore che appare bassissima ma che cova una profonda instabilità. Dopo aver pompato acqua, Djatlov ordina l'estrazione rapida di tutte le barre di controllo eccetto sei per accelerare la ripresa dell'attività nucleare ed il ritorno della potenza a 200 megawatt. Con lo xeno a mascherare la reale situazione, gli operatori in sala controllo staccano l'alimentazione delle pompe, scollegano la turbina e lasciano che le tubazioni si riempiano di vapore per effettuare il test: così facendo il reattore 4 è una bomba innescata, con il vapore generato che aumenta la reazione rendendola sempre più veloce ed instabile e facendo salire al contempo anche la temperatura dell'acqua ancora presente nelle condutture. Il risultato è un picco di potenza inusitato, ben oltre la scala normale, che si manifesta nel giro di pochi secondi dall'inizio del test. Per sopperire all'emergenza c'è un apposito tasto chiamato in gergo AZ-5 che determina l'arresto immediato del reattore e l'inserimento di tutte le barre di controllo: è Akimov a premere il pulsante senza sapere però che, invece di prevenire un guaio, ne sta causando uno enorme.

Le barre di controllo di un reattore RBMK sono composte da boro ma hanno la punta in grafite. E proprio questo particolare determina il disastro: quando la grafite viene a contatto con il nocciolo rimpiazzando l'acqua di raffreddamento evaporata, invece di ridurre la potenza la amplifica esponenzialmente. La temperatura diviene critica, il combustibile nucleare inizia a fondere e le barre si bloccano non riuscendo più a rientrare nel reattore che nel frattempo sta generando dieci volte la potenza normale d'esercizio. All'1:24 circa del 26 aprile una prima esplosione scuote l'edificio del reattore 4, il vapore ad altissima pressione scardina e scaglia in cielo il coperchio da mille tonnellate in acciaio e cemento che copre il reattore; ricadendo, la piastra lascia scoperto il nocciolo danneggiato ed il contatto tra la grafite incandescente e l'idrogeno contenuto nell'aria determina una seconda esplosione avvertita a chilometri di distanza, generando una colonna di luce azzurra proiettata verso il cielo ed un incendio di vaste proporzioni mentre frammenti di grafite si spargono tutt'attorno.

Il disastro è compiuto anche se Djatlov inizialmente nega, accusa i sottoposti di aver combinato un pasticcio, dice che a causa dell'imperizia dei giovani ingegneri è scoppiato un serbatoio d'acqua. Il personale inviato ad indagare all'interno di ciò che resta della struttura trova mura crollate, infiltrazioni d'acqua, porte divelte, locali allagati. In tre riescono ad entrare nel locale che ospitava il cuore del reattore, uscendone dopo pochi secondi col viso ustionato e negli occhi la terribile immagine del nocciolo esposto che sta bruciando: solo uno di loro sopravvivrà all'avvelenamento da radiazioni. Sul posto accorrono le squadre di vigili del fuoco della vicina Pryp"jat', la città-dormitorio costruita appositamente per le famiglie dei lavoratori della centrale: nessuno li avverte del pericolo né li dota di indumenti anti-radiazioni, condannandoli a morire in seguito all'esposizione ed al contatto con i materiali radioattivi. Brjuchanov e Fomin, il capo-ingegnere, ascoltano il rapporto di Djatlov ma faticano ad accettare la prospettiva di un vero e proprio disastro, ammesso da Djatlov solo dopo che un ingegnere è salito sul blocco-ciminiera vedendo con i propri occhi la devastazione causata dalla doppia esplosione. Nel rapporto indirizzato a Mosca i dirigenti della centrale minimizzano, dicono di poter contenere il danno e che tutto sommato non c'è da preoccuparsi, ma qualcuno dubita e quando gli esperti si recano sul posto il giorno dopo le proporzioni della catastrofe saranno evidenti. Nelle settimane successive migliaia di uomini saranno impegnati prima a spegnere gli incendi, poi a prevenire un'esplosione sotterranea, infine ad evitare che il materiale di fusione finisca nelle falde acquifere sottostanti inquinando l'intera Ucraina. Per coprire ciò che resta del reattore 4 verrà elaborato e costruito un enorme sarcofago in cemento armato, poi sostituito nel tempo, al fine di contenere la fuga di radiazioni.

Il disastro di Černobyl' diviene rapidamente di dominio pubblico. A 24 ore dalla doppia esplosione gli svedesi registrano un'altissima presenza di radiazioni nell'aria provenienti da Est, tedeschi ed americani confermano in breve il timore di una catastrofe. In tutta Europa la paura della nube nucleare induce i governi a varare misure di prevenzione, si evita il consumo di frutta e verdura fresca, si predilige la carne in scatola e sotto gelatina, si impedisce ai bambini di giocare all'aperto e ci si interroga sulle ricadute future, a cominciare dalle malattie provocate dalle radiazioni. Il governo sovietico ammetterà con fatica l'accaduto, negando le responsabilità dei costruttori ed addebitando il peso del disastro a pochi uomini. Uno di questi è Akimov, ricoverato assieme a tanti colleghi ed ai vigili del fuoco in ospedale. Finché le forze lo assistono e le radiazioni non distruggono il suo tessuto cellulare continua a ripetere quelle due frasi: "Abbiamo fatto tutto correttamente, non capisco cosa sia successo". Come lui, a decine moriranno per esposizione diretta o indiretta alle particelle mentre l'abitato di Pryp"jat' ed il suo circondario dovranno essere evacuati lasciando sul posto soltanto le squadre dei cosiddetti "liquidatori", i lavoratori specializzati nella chiusura della centrale. L'incubo di Černobyl' e dei veleni che ancora oggi custodisce è ribadito nel 2020 da un incendio che riguarda le foreste attorno alla ex centrale, tanto che il fuoco libera nell'aria un nuovo livello allarmante di radiazioni determinando uno stato d'emergenza in Ucraina, a testimonianza dopo oltre trent'anni della estrema pericolosità della riproposizione moderna del mito di Prometeo.

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