Un concerto da ricordare

"First of all, the show must go on and now Metallica!". Un boato scuote lo storico stadio di Wembley, il ruggito dei 72mila presenti sale verso il cielo come un urlo liberatorio mentre John Deacon, il bassista dei Queen oltre che il membro meno appariscente e loquace della band, annuncia l'inizio di un evento epocale. Il 20 aprile 1992 si scrive un pezzo di storia all'interno dell'ovale più famoso d'Inghilterra, tempio del calcio britannico e palcoscenico degli eventi più famosi e partecipati. E' il ritorno sul palco dei Queen dopo sei anni ma ancor di più, nel luogo in cui il gruppo ha maggiormente emozionato i suoi fan dal vivo. Soprattutto, è il giorno prescelto per una iniziativa benefica che pare riallacciare il filo con un altro concerto tenuto sempre a Wembley nel 1985. A sancire la comunanza tra gli eventi c'è lui, Bob Geldof, l'uomo che aveva inventato il "Live Aid" per raccogliere fondi in favore dell'emergenza umanitaria in Etiopia. Bob torna stavolta in veste di amico, di musicista e di artista che vuole lanciare un altro messaggio: rispetto al 1985 c'è un nuovo problema, un male oscuro che cammina per le strade, infetta uomini e donne in modo subdolo, basta uno scambio ematico o di secrezioni vitali oppure una semplice trasfusione in ospedale. E di quel male è morto pochi mesi prima un amico di Bob, il leader dei Queen, una delle più belle e potenti voci mai udite: Wembley quel giorno è pieno come un uovo in ricordo di Farrokh Bulsara, meglio noto come Freddie Mercury.

Chi ha avuto la fortuna di sentirlo cantare dal vivo è rimasto estasiato. Freddie possedeva estensione vocale e potenza al tempo stesso, un vero uragano. Non bastasse, la sua personalità istrionica aveva trasformato quella che inizialmente era una semplice rock band inglese in un fenomeno planetario. Il Glam Rock, poi le incursioni acid, la svolta elettrica, il pop, il ritorno alle origini: i Queen erano stati plasmati da Mercury con uno stile unico anche se cangiante. Un po' come la personalità complessa del suo leader, figlio di una famiglia Parsi fuggita da Zanzibar ai tempi del colpo di Stato, cresciuto nel razzismo latente della società perbenista britannica dell'epoca, appassionato d'arte e buon grafico, eccentrico nei gusti e nel vestire, omosessuale che si concedeva anche occasionali ma appassionati amori femminili. Freddie Mercury aveva colpito al cuore il mondo della musica e proprio a Wembley nel 1985, durante il "Live Aid", aveva stupito: in un evento planetario ripreso da ogni televisione e con il fior fiore dei musicisti del momento, era riuscito a rubare la scena a tutti coinvolgendo il pubblico che aveva cantato le canzoni dei Queen una dopo l'altra, assieme e duettando con lui che negli eventi dal vivo aveva l'innata capacità di dialogare musicalmente con chiunque. Un anno dopo il "Live Aid" i Queen erano tornati a Wembley per una due giorni di concerti a chiusura del "Live Magic Tour". Perché la formula di successo adottata in quegli anni era semplice, prima il disco in studio e poi un lungo tour promozionale in teatri, arene, stadi, palasport.

Nemmeno Freddie poteva sapere che quel bis a Wembley dell'11 e 12 luglio 1986 avrebbe rappresentato una delle sue ultime apparizioni in pubblico. L'anno dopo il leader dei Queen scopriva di aver contratto l'HIV e da quel momento le già troppe voci sulla sua vita privata e sul suo stato di salute si accavallarono diventato un vortice pericoloso. Dopo aver capito che era sostanzialmente condannato, Freddie reagì alla sua maniera, dedicandosi al lavoro a tempo pieno. Terminato "The Miracle" era rientrato immediatamente in studio per registrare altre tracce, materiale utile per il successivo album "Innuendo" e per altri progetti. Dimagrito in maniera evidente, sempre più debilitato dalla malattia, aveva insistito per non mostrare al mondo il video di "These Are The Days Of Our Lives" fino al momento della sua morte: quello sarebbe stato il suo testamento finale, con "I still love you" rivolto alla telecamera in bianco e nero, rivolto ai suoi tantissimi fan. Solo un giorno prima di morire, quando la fine era ad un passo, aveva ammesso pubblicamente la malattia per chiudersi infine nella sua casa dove la broncopolmonite causata dall'AIDS gli sarebbe stata fatale.

La morte di Freddie Mercury il 24 novembre 1991 non aveva solo lasciato la band senza il leader vocale ed il miglior compositore ma aveva aperto gli occhi al mondo. Quella che si pensava fosse una malattia da degenerati, da sfortunati, da ultimi della classe, aveva falciato uno dei volti più popolari. Il messaggio era finalmente chiaro, di AIDS poteva morire chiunque, anche un cantante ricco e famoso, quindi quella malattia poteva colpire chiunque a dispetto di condizione sociale, disponibilità economiche e fama. Il desiderio di fare qualcosa, di non lasciare che la morte di Freddie fosse avvenuta invano, aveva pervaso Roger Taylor e Brian May, batterista e chitarrista dei Queen oltre che grandi amici del cantante, che tre mesi dopo avevano annunciato l'intenzione di organizzare per il 20 aprile 1992 un grande concerto commemorativo a Wembley con la presenza di artisti di primo piano per raccogliere fondi a favore del nascituro The Mercury Phoenix Trust, un'organizzazione di volontariato per la lotta all'AIDS. La lista delle band e dei solisti nemmeno era stata stilata che i 72mila biglietti erano già stati polverizzati in prevendita mentre le televisioni cercavano di accaparrarsi i diritti di trasmissione: un qualcosa di mai visto dai tempi proprio del "Live Aid".

Quel pomeriggio Wembley è strapieno in ogni ordine di posti e quando John Deacon appare sul palco, introducendo i Metallica citando uno degli ultimi singoli dei Queen, la folla esulta. "Enter Sandman" inaugura un concerto epico in cui amici e colleghi di Freddie gli offrono un tributo prima con canzoni del proprio repertorio e poi duettando con i tre Queen rimasti in un crescendo di emozioni e di ritorno alle origini della band inglese. Liz Taylor appare a metà spettacolo per parlare con il pubblico, spiegando come prevenire i rischi da contagio ed invitando soprattutto i giovani ad essere particolarmente attenti affinché la morte di Freddie non sia avvenuta invano. L'emozione si palesa in scena anche con alcuni fuori programma e con momenti toccanti: ad un certo punto alla chitarra di Brian May salta una corda e l'artista continua a suonare, imperterrito ed incurante del problema, per non lasciarsi prendere dalla commozione; Zucchero si esibisce in "Las Palabras de Amor" e vorrebbe suonare la chitarra assieme a Brian ma nessun addetto al palco gli prepara lo strumento, così deve accontentarsi dell'esecuzione a voce; Robert Plant è talmente preso dall'atmosfera da dimenticare le parole di "Innuendo" obbligando la band a ripiegare su "Kashmir" in corso d'opera; David Bowie riprende "Under Pressure" con una Annie Lennox che per poco non esplode in lacrime nel finale; Lisa Stansfield omaggia nel migliore dei modi Freddie con l'acuto conclusivo di "The Are The Days Of Our Lives" in coppia con George Michael. Infine sulle note di "We Are The Champions" il palco è invaso da tutti gli artisti alternatisi nell'evento mentre lo stadio canta assieme a loro uno dei pezzi immortali della band. Cala il sipario sul concerto ma non sulla leggenda di Freddie Mercury e nemmeno sull'importanza del contrasto alla pandemia che da quel giorno in poi è affrontata con maggiore consapevolezza. La dichiarazione pubblica di positività di Magic Johnson e la sua volontà a non arrendersi daranno nuova linfa al dibattito sull'importanza della prevenzione e della ricerca medica che troverà nuovi metodi per rendere meno aggressiva la malattia pur senza riuscire del tutto a sconfiggerla. Anno dopo anno le statistiche di positività caleranno, sintomo di una maggiore maturità nei comportamenti quotidiani e di una attenzione costante anche negli ambienti ospedalieri ed ambulatoriali. Il Trust continuerà ancora la sua attività in memoria di Freddie nella speranza che un giorno si spera non lontano quel male oscuro che approfittò delle debolezze intime di un uomo possa finalmente sparire dal pianeta.

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