Attentato ai Carabinieri
Esistono numeri di telefono corti, facili da ricordare, legati alle emergenze. Basta dire 118 per identificare il pronto soccorso del Suem, o il 115 per associarlo ai Vigili del Fuoco. Il 112 è da sempre legato all'intervento dei Carabinieri, quella forza militare che in tempo di pace svolge funzioni di polizia territoriale, specie nei piccoli paesi periferici. Ci si recava in una cabina telefonica, senza gettone o monete o scheda, e si componeva il 112: una voce dall'altro lato rispondeva immediatamente "Carabinieri. Dica". E' un modo per sentirsi anche sicuri, per poter contare sempre su qualcuno nei momenti di difficoltà. Ma talvolta può significare anche altro. Non per chi chiama, ma per chi riceve. Può addirittura essere una trappola mortale.
Il raggio di sole, quello definitivo, arriva nel 1984. C'è un uomo, un 35enne, si chiama Vincenzo Vinciguerra. E' agli arresti in carcere per terrorismo, si è costituito spontaneamente cinque anni prima, dopo una latitanza in Spagna, Cile ed Argentina. "Sono stato io", confessa. La strage di Peteano ha un esecutore. Ora occorre capire perché Vinciguerra abbia assassinato tre servitori dello Stato, dove abbia preso l'esplosivo, chi lo abbia aiutato e soprattutto per quale motivo abbia atteso 12 lunghi anni per vuotare il sacco.
Vinciguerra è uno dei "soldati" di punta dell'eversione nera che sta montando come una marea dal Nordest e che si prepara a sommergere l'Italia a suon di bombe. Ma Vinciguerra è anche una mente pensante e capisce che qualcosa non va: per lui lo Stato si abbatte combattendo, non venendo a patti con pezzi delle istituzioni. Non gli piacciono certe collusioni, non gli piace vedere gli spioni del SID ed i Carabinieri adoperarsi per coprire le malefatte dei camerati. Così con il complice Carlo Cicuttini prepara l'agguato mortale ai militari: prelevano del plastico C-4 da un deposito segreto di Gladio nella zona delle cave di Aurisina, poi confezionano la bomba, rubano la Fiat 500 e organizzano il tranello. Il telefonista è Cicuttini, Vinciguerra definisce gli ultimi dettagli prima dell'arrivo delle divise. Quando l'attentato viene insabbiato, Vinciguerra ne resta disgustato. Con Cicuttini e Boccaccio prova il dirottamento aereo a Ronchi dei Legionari: il terzo uomo ci rimette le penne, lui ed il telefonista di Peteano riescono a fuggire ed entrano in clandestinità. Anche all'interno del mondo del neofascismo eversivo ci si accorge che Vinciguerra è un tipo particolare: bravo con le armi ma troppo riottoso. Gli propongono una vendetta, lanciare una bomba a mano contro il democristiano Mariano Rumor che dovrà visitare la Questura di Milano - Rumor era Ministro degli Interni all'epoca di Piazza Fontana e rifiutò di avvalorare la richiesta di alcuni colleghi di dichiarare lo stato d'emergenza. Vinciguerra fiuta la trappola ("Qualcuno mi avrebbe sparato subito dopo lo scoppio") e passa la mano, espatriando in Spagna per sfuggire con Cicuttini all'arresto disposto per i fatti di Ronchi. Nel Paese franchista Vinciguerra rinsalda i legami con Yves Guillou, alias Ralf Guérin Serac, capo di Aginter Press, e con Stefano "er Caccola" Delle Chiaie, capo di Avanguardia Nazionale. In Spagna Cicuttini si sottopone ad un intervento alle corde vocali, necessario per modificarne la voce. I soldi arrivano da Giorgio Almirante, capo dell'MSI di cui Cicuttini risulta ancora essere tesserato: se i magistrati dovessero scoprire che il telefonista di Peteano è un dirigente della Fiamma sarebbe un bel problema per Almirante. Disgustato da queste continue coperture, Vinciguerra se ne va in Cile, poi in Argentina ma capisce che la sua battaglia è persa. Nel febbraio 1979 torna a Roma e si costituisce. Cinque anni dopo svela il suo segreto ai magistrati: "Quella bomba l'ho messa io".
Vinciguerra va a processo. Parla, risponde alle domande, ascolta le requisitorie. Il verdetto è univoco: ergastolo. Lo accetta, nemmeno fa ricorso in appello, e decide di scontare la pena senza chiedere sconti o facilitazioni. Da quel momento in poi, senza mai pentirsi, risponde alle domande dei magistrati che indagano sugli anni di piombo, sulla strategia della tensione. Parla di Gladio, di Ordine Nuovo, dei legami internazionali, di Rumor, di Delfo Zorzi, di Carlo Digilio, della NATO. Vinciguerra racconta quel che sa perché stanco di essere manovrato ma senza rinnegare quel che fece. E Peteano? "Volevo dare un segnale di ribellione, far capire che non volevo essere coperto da nessuno - dichiara - Quando però si sono attivati i meccanismi di protezione interna ho capito che non c'era margine per la lotta rivoluzionaria". Una lotta assurda che lascia sul terreno i corpi di tre uomini in divisa.
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