Scandalo alla Casa Bianca

Tutto inutile. La sequela di "non so", "non ricordo", "non sapevo", persino le lacrime non possono evitare una condanna in fondo già scritta che offre un comodo capro espiatorio evitando ad un'intera classe dirigente di rispondere di accuse gravissime. Il 4 maggio 1989 un giudice federale emette il verdetto che si ritiene pietra tombale su uno dei peggiori scandali politici e militari degli Stati Uniti: "Per i reati di corruzione, ostruzionismo alle indagini del Congresso e distruzione di documenti riservati, questa Corte condanna il tenente colonnello Oliver North, già USMC, a tre anni di reclusione con sospensione della pena, due anni di libertà vigilata, 150mila dollari di multa e 1200 ore di servizio alla comunità di Washington DC".

L'America conosce da tempo il nome ed il volto di Oliver North. Eroe della guerra del Vietnam dove aveva condotto in combattimento un plotone di Marines dimostrando ottime doti di comando e sprezzo del pericolo, North era stato valutato positivamente tanto dai suoi superiori quanto dalla classe politica repubblicana, entrando nelle grazie dell'Amministrazione Reagan che lo aveva inserito nello staff del National Security Council già nel 1981 con la qualifica di consulente e poi come vicedirettore degli affari politico-militari. Divenuto in esperto di guerriglia e terrorismo, si era adoperato per la cattura dei responsabili dell'attentato di Beirut che era costato la vita a centinaia di soldati americani e dei dirottatori della nave da crociera italiana "Achille Lauro", episodio conclusosi con un drammatico confronto sulla pista di Sigonella tra alleati NATO. Oltre a ciò, c'era la sua mano nella pianificazione dell'invasione di Grenada e nel bombardamento della Libia nel 1986.

Ad imprimere una svolta nella sua carriera e nella storia era stato un evento teoricamente banale, una presa d'ostaggi in Libano da parte di Hezbollah nel 1985. Nulla di cui stupirsi, d'altronde, visto che nel terribile calderone dell'ex paradiso mediorientale il rapimento di civili (meglio se occidentali) era divenuto prassi. Ed appunto sette cittadini americani erano stati catturati dalle milizie sciite filo-iraniane in diverse circostanze e detenuti in luoghi segreti, pronti per essere utilizzati come moneta di scambio in qualche accordo che potesse giovare alla causa di Hezbollah il cui peso specifico nella guerra civile libanese era aumentato di anno in anno sorpassando i rivali confessionali di Amal (inizialmente filo-cristiani in ottica anti palestinese) e proponendosi come nuovo punto di riferimento anche della politica locale per la numerosa comunità sciita. Per liberare gli ostaggi occorreva pagare un riscatto ma la richiesta non era di valuta pregiata, bensì di forniture belliche. Non direttamente ad Hezbollah, piuttosto a favore del grande patrono del movimento paramilitare libanese: l'Iran.

Nel 1985 la Repubblica Islamica sorta dalla rivoluzione del 1978/79 stava fronteggiando una dissanguante guerra di logoramento con il bellicoso vicino iracheno. Dopo cinque anni le forze armate persiane, già duramente provate alla radice dalle epurazioni di alti ufficiali appartenenti al vecchio regime, accusavano non solo larghi vuoti di personale che venivano colmati da giovanissimi soldati ma anche problemi di approvvigionamento di armi, munizioni e ricambi. Quella formidabile macchina bellica che lo Scià aveva costruito in collaborazione con l'America, tanto da far assurgere l'Iran al ruolo di gendarme armato degli interessi occidentali nel Golfo, perdeva letteralmente i pezzi. All'esercito iraniano mancava di tutto, dai ricambi per le batterie antiaeree ai missili controcarro, materiali introvabili nel mercato nero del contrabbando e che solo gli USA potevano fornire. Fu così che due Paesi che avevano smesso di parlarsi dall'invasione dell'ambasciata a Teheran ripresero un faticoso dialogo: il primo passo era stato la fornitura delle informazioni per rintracciare depositi segreti di armi, polveriere gelosamente custodite dagli uomini dello Scià e rimaste dietro le linee dopo il cambio di regime. Ma quei magazzini si erano svuotati in fretta, troppo rapidamente per compensare la vorace fame dell'esercito rivoluzionario. Così nel giugno 1985 il consigliere per la sicurezza nazionale Robert McFarlane aveva sfidato il parere negativo di altri membri del gabinetto come Weinberger e Schultz per sottoporre al presidente un progetto di vendita diretta a Teheran, appoggiandosi all'intermediazione del tradizionale alleato israeliano. Lo stesso McFarlane era volato nella capitale iraniana con tanto di torta beneaugurante ed una bibbia autografata da Reagan per concludere l'accordo, tuttavia la trattativa si era apparentemente arenata su questioni di percentuali economiche e di natura dei pezzi di ricambio. McFarlane, già con un piede fuori dalla Casa Bianca per dei diplomatici "motivi famigliari", si era fatto definitivamente da parte lasciando campo libero all'ammiraglio Poindexter ed al suo vice, North.

Ed era stato proprio North a trovare la chiave di volta dell'inghippo. Da tempo gli Stati Uniti finanziavano segretamente la guerriglia dei Contras, gli ex squadroni della morte del defenestrato e defunto Anastasio Somoza che avevano avviato una guerra civile in Nicaragua contro i sandinisti, appoggiandosi alle basi costituite in Honduras. L'imbarazzante condotta dei Contras che compivano incursioni contro la popolazione civile massacrando chiunque si trovasse sul loro cammino era diventata insostenibile dopo la scoperta da parte della stampa di alcuni affari che coinvolgevano gli stessi guerriglieri ed un altro fantoccio americano, Manuel Noriega, nel traffico della cocaina. Ce n'era abbastanza per decretare la fine di ogni programma di aiuti, nonostante le proteste dei settori politicamente più oltranzisti e degli stessi Contras che reclamavano il rispetto dei patti sottoscritti. North suggerì dunque un sistema diabolico: aggirando l'Emendamento Boland che obbligava il governo ad informare il Congresso di qualunque vendita di armi all'estero, il colonnello individuò nel Brunei un possibile partner per l'intermediazione finanziaria tra USA e Iran, un canale attraverso cui far passare la vendita dei preziosi missili TOW richiesti dall'artiglieria sciita, cedendo parte dei profitti del lucroso affare agli stessi Contras.

Sembrava il delitto perfetto, specie alla luce delle prime liberazioni di ostaggi in Libano, a cominciare dal sacerdote Lawrence Jenco e proseguendo con i rapporti sempre più stretti di North con gli emissari iraniani al punto che il colonnello si era sbilanciato dichiarando che secondo Reagan Saddam era "un pericolo [...] da rimuovere al più presto". Ma se un popolare detto recita che la farina del diavolo va sempre in crusca, anche l'affare triangolare tra USA, Iran e Contras era incappato in un ostacolo imprevisto. L'intervista di un funzionario di alto livello dei Pasdaran ad una rivista libanese aveva condotto alla scoperta improvvisa dei traffici nel novembre del 1986. La stampa americana esercitando il proprio ruolo di garante pubblico aveva riportato la notizia chiedendo conto al presidente dell'operato del proprio staff. In profondo imbarazzo, Reagan era stato costretto a licenziare North ed autorizzare una commissione d'inchiesta davanti alla quale erano sfilati lo stesso presidente, il suo vice Bush sr., Poindexter, Weinberger, North ed alcuni trafficanti d'armi mentre il direttore della CIA Casey, colto da malore prima della deposizione, era morto in ospedale mentre il castello di carte crollava. Le reazioni alle audizioni da parte del pubblico americano erano state scioccanti, si era parlato apertamente di alto tradimento al punto da poter prefigurare l'ipotesi di impeachment mentre la maggior parte dei personaggi interrogati si erano nascosti dietro una sequela di provvidenziali amnesie o di ammissioni di stoltezza. A difendere la Casa Bianca era rimasto North che alla fine aveva ammesso di aver incaricato la propria segretaria di distruggere i documenti che provavano il commercio di armi assumendosi la piena responsabilità dell'accaduto, scagionando al contempo i propri superiori ed abbandonandosi ad un pianto liberatorio.

Lo scandalo Iran-Contras era alfine scaturito in un processo vero e proprio, con un nugolo di funzionari alla sbarra. Cinque membri dello staff NSC, tra cui McFarlane e Weinberger, avevano accettato il patteggiamento ottenendo pene lievi, in seguito cancellate dalla grazia presidenziale concessa a loro ed all'indagato ma non ancora giudicato Weinberger da Bush sr. alla vigilia del Natale del 1992. Altri personaggi come la bella Fawn Hall, la giovane segretaria di North, avevano ottenuto l'immunità in cambio di una piena collaborazione. Sul banco degli imputati quel 4 maggio 1989 era rimasto lui, l'ex tenente colonnello che nel frattempo aveva lasciato il Corpo dei Marines: riconosciuto colpevole e condannato, seppur con alcuni benefici di pena, non sconterà nemmeno un giorno di galera né espleterà mai un singolo minuto di servizio alla comunità grazie ad un annullamento in appello per vizio procedurale. Da allora Oliver North è diventato un personaggio televisivo, un ascoltato opinionista in ambienti neoconservatori, scrittore e soggettista per cinema e televisione senza però coronare il grande sogno di tornare a Capitol Hill da politico e non da inquisito, per prendersi una rivincita sul passato.

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