La morte attende nel vicolo

Genova è una città bella anche se un po' triste. Ha in sé il fascino dei porti, i profumi del mare, la malinconia del passato e delle giornate di nebbia. Come Trieste, Genova è una città che dal mare si arrampica subito in collina, con una fisionomia molto particolare per non dire unica. I vicoli pedonali che si addentrano lateralmente sono noti come "Salite": porfido, sbalzi, piccole arrampicate tra i palazzi per superare il dislivello. Salita Santa Brigida è un viottolo pedonale come altri, collega la centralissima via Balbi con le altre Salite della zona. Siamo nel centro storico, a pochi minuti a piedi dalla stazione ferroviaria di Piazza Principe, da via Gramsci che percorre le banchine del porto, dal Museo di Palazzo Reale. Una bella zona, insomma. L'8 giugno 1976 un uomo è nei pressi di casa sua, in Salita Santa Brigida; è vestito come sempre, completo di giacca e cravatta, con una cartella di pelle in cui tiene alcuni documenti del lavoro. Non è da solo: con lui ci sono un paio di angeli custodi, un carabiniere ed un poliziotto in servizio che lo hanno riaccompagnato. L'uomo infatti è il Procuratore Capo della Repubblica di Genova, si chiama Francesco Coco, ha 65 anni ed una fama di magistrato integerrimo, sprezzante, spietato con i terroristi e con i sindacalisti. Coco sale i gradoni della Salita, con lui c'è l'appuntato dell'Arma Antioco Deiana, nell'auto di servizio è rimasto il brigadiere di PS Giovanni Saponara. Improvvisamente si scatena l'inferno: da un anfratto della salita sbucano due uomini, armi in pugno, che freddano prima Deiana e poi Coco a colpi di revolver e Skorpion. Altri due membri del gruppo di fuoco avvicinano l'auto e sparano a bruciapelo contro Saponara, uccidendolo. Il commando ha agito in maniera fredda, efficace, quasi da militari. L'intera azione dura non più di due minuti, poi gli assassini scompaiono. In zona arrivano le gazzelle dei Carabinieri, le auto del commissariato. Quella che passerà alla storia come la Strage di Santa Brigida è compiuta.

Chi è stato? Bastano appena 24 ore per ottenere una rivendicazione. In Tribunale a Torino si sta tenendo il processo alle Brigate Rosse e dal gabbione i leader fondatori del gruppo terrorista iniziano a leggere un volantino prima che venga strappato dalle loro mani dai secondini. La motivazione è allucinante: Coco è stato ucciso per non essere stato ai patti, per aver manifestato solidarietà ad un collega rapito, per aver voluto impedire la liberazione di alcuni brigatisti detenuti.

Tuffo indietro nel passato. 18 aprile 1974, a Genova le Brigate Rosse piazzano un colpo sensazionale sequestrando Mario Sossi, sostituto Procuratore. E' un rapimento in grande stile, con venti soggetti coinvolti ed un notevole dispiegamento di forze e di mezzi. Pure troppi forse, visto che Sossi gira da solo, senza scorta e disarmato. Sossi non è un tipo semplice: lo chiamano "dottor Manetta" perché ci mette pochino ad ordinare arresti a pioggia per qualunque motivo, dalla vendita di riviste osé da parte degli edicolanti ad una sospetta ma infondata accusa di traffico d'armi a carico di un avvocato. Sossi è anche politicamente schierato, non fa mistero delle sue idee a destra ed anche in Procura non ha molti amici. Più di qualcuno afferma che esageri nei metodi, anche perché alcuni soggetti da lui accusati vengono prosciolti in istruttoria. Soltanto Francesco Coco difende il suo sostituto, ma evita di scontrarsi con i colleghi sulle questioni di principio. Le BR sono attive da poco tempo in città, finora hanno svolto solo azioni dimostrative intimidendo, incendiando auto, distribuendo volantini, effettuando sequestri-lampo, ma stavolta decidono di applicare un metodo che diverrà esemplare: "Colpiscine uno per educarne cento". Sossi viene rapito e fotografato con il solito stendardo con la stella a cinque punte; per la sua liberazione viene chiesto il rilascio di altri brigatisti in carcere. La Corte d'Assise dà parere favorevole allo scambio ma Coco si oppone, deposita in fretta un ricorso in Cassazione per bloccare l'iter. Sossi alla fine torna a casa, quasi incolume (ha solo rimediato in modo fortuito una botta in volto sbattendo contro un albero mentre aveva un sacco di juta in testa), tutto è bene quel che finisce bene.

Ma non è così. Perché qualcosa cambia. Poche settimane dopo la fine del sequestro Sossi le BR sparano per uccidere. Accade a Padova, in un sezione del MSI, e sul terreno restano due uomini. "Un tragico errore politico", dirà il leader brigatista Renato Curcio, condannato come mandante morale del duplice omicidio. A quanto pare quella che doveva essere una azione dimostrativa da completare con la sottrazione dell'archivio del partito neofascista padovano degenera quando i due tesserati presenti in sede, un rugbista ed un carabiniere in pensione, reagiscono cercando di disarmare i brigatisti.

 

Le vecchie BR, quelle delle origini, della contestazione, della lotta politica armata ma senza uccidere, muoiono pochi mesi dopo quando Curcio e Franceschini, i capi, finiscono in una trappola ordita dai Carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Pinerolo. E' l'8 settembre 1974, Curcio e Franceschini hanno un appuntamento con Silvano Girotto, in arte Frate Mitra, un sedicente missionario rivoluzionario rientrato dal Sudamerica dove alla predicazione cristiana avrebbe preferito le azioni di guerriglia. Girotto si è candidato ad un ruolo di consigliere, propone di portare la propria esperienza di combattente sul campo contro i regimi fascisti. Curcio non è molto convinto, Franceschini ancor meno, ma acconsentono ai primi incontri. A Pinerolo scatta la trappola, i Carabinieri circondano l'auto dei due brigatisti e li ammanettano. Cinque mesi dopo Curcio evade grazie alla moglie Margherita Cagol ma la lontananza dal vertice ha minato la leadership che ora è nelle mani di un nuovo capo. La Cagol muore in un conflitto a fuoco poco dopo, Curcio torna definitivamente dietro le sbarre e da quel momento in poi inizia il regno del terrore di Mario Moretti.

E' un tipo singolare, Moretti. Si professa comunista sin dall'infanzia quando invece la famiglia è decisamente cattolica, con un paio di zii dal passato fascista. Viene dalle Marche eppure grazie all'aiuto di alcuni parenti ottiene ottime referenze (addirittura dalla famiglia nobiliare Casati Stampa) che gli permettono di entrare alla SIT-Siemens e di iscriversi ai corsi serali dell'Università Cattolica a Milano. In fabbrica diventa presto un ascoltato organizzatore di collettivi di protesta, la base delle future BR. Nel maggio 1972 con altri colleghi rapisce per qualche ora un dirigente della SIT-Siemens, lo interroga, gli fa la foto di rito con il solito drappo e lo libera. La polizia gli è addosso in pochi giorni ma lui, unico del gruppo dei sequestratori, si salva evitando per un soffio la cattura: è il primo di una lunga sequela di incredibili colpi di fortuna che desteranno non pochi sospetti. Moretti non partecipa al sequestro Sossi ma appena Curcio e Franceschini cadono nella trappola di Pinerolo ne approfitta per assumere la guida dell'organizzazione clandestina. E' lui a decidere il salto di qualità, le BR devono risultare letali affinché si sappia che la loro rivoluzione non sarà esclusivamente a parole. E' Moretti a decidere la sorte di Francesco Coco, c'è anche lui nel gruppo di fuoco di Santa Brigida che uccide il magistrato e la sua scorta. Ed è sempre lui a decidere il sequestro dell'armatore Costa che frutta un riscatto miliardario utile per finanziare le future imprese del gruppo terrorista. L'omicidio Coco è stato solo il primo passo di un piano folle, una strategia che porterà nella primavera del 1978 alla sfida diretta al cuore dello Stato, al rapimento di Aldo Moro, ai 55 giorni più bui della storia della Repubblica.

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