Sotto il ponte dei Frati Neri...

Sotto un ponte si può vivere: la locuzione in voga riguarda i più sfortunati, i senzatetto, che a volte si riparano dalle intemperie e dal freddo approfittando delle volte dei ponti. Ma sotto un ponte si può anche morire. Una mattina qualsiasi un uomo qualunque sta facendo la sua classica passeggiata in riva al fiume. Arrivato in corrispondenza di un ponte nota qualcosa fuoriuscire dall'acqua: sono dei tubi Innocenti, classiche strutture da impalcature, probabilmente quel che resta di un cantiere per una ristrutturazione o per una manutenzione. Ma c'è dell'altro, una specie di fagotto che galleggia legato ad un palo. No, non è un fagotto: è una testa d'uomo, il cranio ampio calvo, il viso gonfio, la pelle di un pallore mortale. L'uomo lancia l'allarme, chiama la polizia che provvede con mille cautele a tirar fuori il cadavere dall'acqua ed a stenderlo sul porfido. Gli abiti sono sfondati, nelle tasche e nell'inguine del morto i poliziotti trovano mattoni ed altri materiali edili di scarto. In tasca c'è un documento, è un passaporto della Repubblica Italiana intestato ad un tal Gian Roberto Calvini. Ma non è quello il nome del morto e quello che sembra inizialmente un suicidio come tanti altri nasconde una torbida storia di soldi, di fallimenti, di criminalità, di ruberie, di spioni e di molto altro ancora. Perché il fiume è il Tamigi, la città è Londra, i poliziotti sono dei bobbies, il ponte è il Blackfriars Bridge e quel cadavere era Roberto Calvi, ormai ex presidente di una delle più grandi banche italiane, latitante da alcuni giorni. E' il 18 giugno 1982.

Com'è finito uno dei maggiori banchieri d'Europa a Londra, sotto un ponte, a galleggiare nel fiume appeso ad una impalcatura? E davvero si è ucciso? Il magistrato Domenico Sica che negli anni '80 indaga sui casi più spinosi della cronaca italiana si pone queste ed altre domande e cerca di ricostruire una vicenda assai complessa.

Roberto Calvi nasce a Milano nel 1920, studia ragioneria e a 19 anni entra alla Bocconi ma non riesce a completare gli studi perché arruolato per la guerra. Tornato a casa incolume dalla ritirata di Russia, inizia a lavorare in banca, semplice attività di sportello alla Commerciale Italiana, uno dei simboli della finanza laica, per poi passare armi e bagagli all'Ambrosiano dopo nemmeno due anni. Un trasloco singolare, visto che l'Ambrosiano è una banca cattolica, anzi cattolicissima dato che per potervi lavorare occorrono referenze dal proprio parroco che attesti la regolarità dei sacramenti e la frequenza a messa del candidato. Ma Calvi ha un piccolo asso nella manica, la conoscenza con Alessandro Canesi, amico di famiglia e dirigente destinato alla presidenza. All'Ambrosiano Calvi trascorre ben poco tempo allo sportello per passare subito dietro una scrivania. Canesi è una vecchia volpe e ha già capito che la ripresa post bellica necessiterà di linee di credito, in quest'ottica l'Ambrosiano che raccoglie una massa di liquidità proveniente dai depositi tanto dei privati quanto di curie vescovili e parrocchie può trarne giovamento. Ma per evitare complicazioni col fisco, perennemente assetato di soldi, è il caso di ampliare le dimensioni della banca sfruttando la legislazione europea e non solo.

Calvi è sveglio, studia, impara in fretta i meccanismi del mondo dell'alta finanza. Diventa un piccolo mago nelle operazioni estere gettando le basi per quello che sarà l'impero estero del Banco. Tra Lussemburgo, Svizzera, Panama, Nicaragua, Bahamas e Perù si muove con agilità ed intesse rapporti preziosi. Ad inizio anni '70, quando ormai è pronto per subentrare a Canesi per diventare non solo il presidente ma il padrone dell'Ambrosiano, Calvi ormai è pienamente inserito nella ragnatela della finanza. Tra gli altri, conosce due personaggi che determineranno il corso della sua carriera e che seppur indirettamente parteciperanno alla sua tragedia. Il primo è un avvocato siciliano, anche lui banchiere, un uomo con la passione per i segreti e per gli origami. Il secondo è un oscuro prelato americano di origini lituane, molto chiacchierato per la sua vita mondana e per una gestione non proprio prudente delle finanze vaticane. Michele Sindona e Paul Casimir Marcinkus introducono Calvi nel sottobosco affaristico più spietato, lo rendono complice delle loro malefatte. Con Sindona, Calvi irrobustisce i legami con il Sudamerica dove sono attivi il Comerciàl de Nicaragua e il Banco Ambrosiano Andino; con Marcinkus invece si procede alla fondazione della Cisalpine Overseas Bank di Nassau, poi Banco Ambrosiano Overseas. I due non si limitano a rapporti d'affari ma introducono il loro nuovo amico e sodale nella ristretta cerchia di un piccolo imprenditore di Pistoia dal passato da doppiogiochista che, da quanto si mormora, sarebbe capace di manovrare parecchi politici sulle due sponde dell'Atlantico grazie alla misteriosa P2.

Stretto nella morsa tra Sindona, Marcinkus e Licio Gelli, Calvi si fa convincere ad effettuare operazioni sempre più spregiudicate. Mentre Sindona a poco a poco cade in disgrazia ed è costretto ad affrontare i processi, l'Ambrosiano imbocca una spirale pericolosissima che ne svuota i forzieri. Perché Calvi dà soldi a tutti: finanzia i partiti di governo e di opposizione che però non restituiscono mai il dovuto; compra armi per l'Argentina di Videla e per il Perù; invia soldi a palate in Polonia per sostenere Solidarnosc e compiacere il nuovo pontefice, il polacco Karol Wojtyla; si presta persino al riciclaggio di titoli di Stato e di soldi di dubbia provenienza. Per coprire le operazioni che creano voragini nei conti, Calvi studia un sistema di compensazione tra consociate, parcheggiando i pacchetti di controllo degli istituti nella Banca del Gottardo e falsando i dati della riserva frazionaria. Nella sua espansione arriva a comprare altre due banche cattoliche, quella del Veneto ed il Credito Varesino, con lo scopo dichiarato di creare un grande polo unico della finanza bianca italiana. In realtà le operazioni servono solo a nascondere gli ammanchi. Ma sono in pochi a dubitare dell'operato di quel banchiere schivo e che è solito borbottare più che parlare. Gli unici a porsi delle domande sono Giovanni Spadolini ed il governatore di Bankitalia Paolo Baffi che dispone delle ispezioni. Ma due magistrati di simpatie democristiane stoppano le indagini di Baffi facendo arrestare il suo vice Sarcinelli e per un po' di tempo la questione della solidità del Banco finisce nel dimenticatoio.

Tra il 1980 ed il 1981 però iniziano i guai. L'Ambrosiano, come già avvenuto con la Privata di Sindona, è in crisi di liquidità. In soccorso arrivano la BNL e le finanziarie estere dell'ENI che in cambio di garanzie sulle azioni estere del gruppo aprono due linee di credito. L'intervento è promosso da Craxi in cambio di un nuovo maxifinanziamento denominato "Conto Protezione" e domiciliato all'UBS di Lugano. Calvi si sente sempre più accerchiato e quando il 16 marzo 1981 la Guardia di Finanza che sta indagando sulla famosa lista Sindona dei 500 esportatori di valuta scopre gli elenchi della P2, il mondo gli crolla sotto i piedi. Un paio di mesi dopo le Fiamme Gialle arrivano alla residenza del banchiere lombardo che finisce al fresco con gli altri membri del CdA della Centrale Finanziaria - la Centrale era una ex azienda elettrica nazionalizzata e su di essa si erano posati gli occhi di Sindona che l'aveva usata in una scalata ad un'altra ex elettrica, la Bastogi; fallito il piano per l'intervento di Guido Carli ed Ugo La Malfa, Sindona aveva ceduto la Centrale ai suoi soliti soci in affari.

In carcere Calvi sembra prossimo al crollo. Parla con i magistrati ma non rivela quasi nulla, se non i finanziamenti concessi ad alcuni politici. Mentre il banchiere è in cella, proprio la politica si muove: alla caduta del governo Forlani, minato dalla scoperta della P2, succede il primo esecutivo laico a guida Spadolini mentre l'andreottiano Orazio Bagnasco entra nel CdA dell'Ambrosiano con un ruolo di rilievo. In soccorso di Calvi arrivano due oscuri figuri, entrambi faccendieri. Francesco Pazienza è il primo ad entrare in scena: è un personaggio particolare, collaboratore del SISMI del generale Santovito con forti agganci anche in America. E' lui che propone a Calvi, ancora in carcere, di contribuire a pagare il riscatto per la liberazione di Ciro Cirillo, politico democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse. Calvi cede, paga ma accusa un altro crollo emotivo e simula un suicidio nell'infermeria della casa circondariale, ingerendo delle pasticche e graffiandosi i polsi. E' abbastanza per uscire di galera subito dopo la sentenza di condanna in primo grado che gli revoca il passaporto. Ed è qui che entra in gioco il secondo affarista, quello che accompagnerà il banchiere quasi fino alla fine della sua vita.

Flavio Carboni è un tipo molto particolare. Sardo, intimo amico (così dice) di Armandino Corona, costruttore edile con società di comodo domiciliate a Trieste, ottimo conoscente del sottobosco romano. Calvi incontra Carboni durante una vacanza in Sardegna dopo l'uscita dal carcere e si lascia convincere a compiere un altro, pericolosissimo passo: stringere un abbraccio mortale con la mafia di Pippo Calò e con la Banda della Magliana. Calvi ha bisogno di quei soldi perché la voragine nei conti dell'Ambrosiano ha superato il miliardo di dollari, un passivo enorme che può trascinare a fondo una fetta di finanza italiana. Per tappare provvisoriamente il buco, il banchiere chiede a Marcinkus delle lettere di patrocinio che attestino la garanzia vaticana sui debiti contratti: in pratica lo IOR (Istituto per le Opere di Religione) ammette di essere a conoscenza dell'indebitamento contratto da società di comodo di proprietà della Chiesa nei confronti delle consociate estere del Banco. Ma il patrocinio ha una scadenza breve, nemmeno 12 mesi, e Calvi è costretto a firmare a sua volta una lettera di manleva che solleva Marcinkus e lo IOR da qualsiasi responsabilità.

Il gioco, sempre più pericoloso, diventa drammatico quando il 27 aprile 1982 il vicepresidente del Banco, Roberto Rosone, viene gambizzato in un agguato sotto casa. Il dirigente se la cava con alcune ferite e l'attentatore è ucciso da un metronotte mentre sta scappando in moto con un complice. La sorpresa quando si toglie il casco al morto è grande: si tratta di Danilo Abbruciati, boss di Testaccio, uno dei capi della Magliana. Calvi ora ha paura, spedisce moglie e figli negli Stati Uniti mentre prova a forzare la mano in Vaticano alleandosi con l'Opus Dei per avere un nuovo protettore al posto di Marcinkus. Per completare quello che è un complesso piano di ricatti incrociati, il banchiere ha bisogno di tempo e di restare isolato, così si affida a Carboni che gli procura il passaporto falso intestato a tale Gian Roberto Calvini e lo affida ad un contrabbandiere di fiducia, Silvano Vittor, un triestino che vive dalle parti di Umago e che traffica in jeans e sigarette con la Jugoslavia. Vittor fa espatriare Calvi in gran segreto, portandolo prima in Istria e poi a Klagenfurt, a casa della sua fidanzata austriaca. Intanto a Milano è il panico, Rosone scopre l'ammanco nei conti del gruppo e propone al CdA di alzare bandiera bianca e di chiedere a Bankitalia di inviare un commissario liquidatore. Il solo Orazio Bagnasco si oppone, scontrandosi con un muro di ostilità composto dai consiglieri che subodorano oscuri piani a livello politico per pilotare lo smembramento dell'istituto.

Da Klagenfurt Calvi vorrebbe andare a Zurigo per recuperare fondi e documenti ma Vittor prima e Carboni poi lo convincono a cambiare destinazione ed a volare a Londra. Per alcuni giorni il banchiere più ricercato d'Europa è recluso in uno squallido residence a Chelsea da cui prova a muovere le ultime pedine a disposizione. E' nella sua stanza quando una telefonata dall'Italia gli comunica che nel pomeriggio del 17 giugno 1982 la sua segretaria, la signorina Graziella Corrocher da Conegliano, si è suicidata gettandosi dal quarto piano della sede della banca. Quella sera Calvi esce dal nascondiglio, è in compagnia di altre persone. Pochissimi testimoni lo vedono salire su una vettura e sparire. Il giorno dopo ne ritrovano il cadavere legato con un cappio a gassa d'amante ad una impalcatura sotto il Ponte dei Frati Neri, i baffi tagliati, i mattoni nelle tasche e nei pantaloni. La polizia londinese dichiara il suicidio, confermato inizialmente dai giudici che in seguito ad un reclamo emettono un "open verdict" affermando di non poter stabilire con esattezza se si tratti o meno di omicidio. Ma tutti dubitano del fatto che Roberto Calvi abbia voluto davvero uccidersi: un 62enne in cattiva forma fisica non sarebbe mai riuscito ad arrampicarsi sull'impalcatura con l'aggravio del peso dei mattoni, fissandosi poi ai pali non con il classico cappio da impiccagione ma con un nodo che serve a mantenere la tensione della corda. E la stessa autopsia chiarisce come la morte di Calvi sia giunta per strangolamento e non per rottura delle vertebre del collo.

Chi ha ucciso Calvi? Il pentito Mannoia accusa l'ex mafioso Francesco Di Carlo, espatriato proprio a Londra; lo stesso Di Carlo qualche tempo dopo nega ogni coinvolgimento e fa il nome di Vincenzo Casillo, camorrista e fedelissimo di Cutolo coinvolto nell'omicidio del professor Semerari e nel rapimento Cirillo, saltato in aria con la sua auto vicino a Forte Braschi nel 1983. Il movente però è unico, una vendetta della malavita per la sparizione dei fondi di mafia, camorra e Banda della Magliana affidati a Calvi per essere riciclati. Il Banco Ambrosiano conosce i suoi ultimi giorni a fine giugno 1982 quando Roberto Rosone si presenta in Vaticano con le lettere di patrocinio già scadute ed annullate dalla manleva firmata da Calvi. Solo un piano straordinario del Governo e l'intervento di un pool di istituti di credito evita il terremoto e consente una continuità a tutela dei correntisti, mentre il Moloch della finanza cattolica scompare per sempre.

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