Bomba a bordo

"Per quanto riguarda il governo imperiale, esso non dà alcun peso o valore al documento che ci è stato fatto pervenire. Non vi è altro da fare che ignorarlo completamente ed al contempo battersi con risolutezza per una vittoriosa conclusione del conflitto". E' difficile comprendere dal tono di voce utilizzato dall'ammiraglio Kantaro Suzuki, Primo Ministro del Giappone, se egli creda realmente in ciò che ha appena annunciato alla stampa convocata nel pomeriggio del 26 luglio 1945 per annunciare la risposta del Sol Levante alla Dichiarazione di Potsdam, il documento redatto dagli Alleati che chiede una resa incondizionata delle forze nipponiche, la ridefinizione della società interna giapponese con abolizione dei privilegi ed apertura alle libertà individuali ed infine il ridimensionamento dell'Impero all'arcipelago ed a poche isole ulteriori. Ciò che l'ammiraglio ignora è mentre sta parlando alla stampa a Tokyo, a parecchie miglia di distanza, sull'isola di Tinian, una nave americana sta sbarcando l'ordigno più spaventoso mai realizzato.

Il viaggio della USS Indianapolis da Hunters Point sino alle Marianne Settentrionali era iniziato dieci giorni prima, poco dopo il successo del Test Trinity nel deserto. Riparata in cantiere dopo i danni subiti in primavera durante l'assalto ad Okinawa, la nave aveva ricevuto l'incarico di trasportare i componenti di "Little Boy", il nome in codice dato dagli scienziati al primo ordigno atomico da utilizzare sul campo. La cura per il trasporto era stata tale da depositare il meccanismo di innesco in un contenitore foderato di piombo imbullonato all'interno dell'hangar dell'idrovolante di bordo della nave mentre la capsula di uranio-235, materiale fissile della bomba, era stata inserita in un altro baule piombato custodito all'interno della cabina per gli ospiti. Mantenendo una media di 29 nodi, l'incrociatore pesante era giunto a Pearl Harbor per uno scalo tecnico ed aveva successivamente navigato per una intera settimana, senza scorta, arrivando a destinazione per consegnare il proprio carico agli scienziati ed agli aviatori incaricati di utilizzare la bomba. Sull'isola, riconquistata dagli Alleati un anno prima e trasformata in una base aerea di primo piano, era già stata predisposta una struttura di contenimento preventivo per Little Boy, una fossa in cemento armato in cui custodire l'ordigno sino al giorno del definitivo impiego.


La sera del 26 luglio il presidente Truman decide di rendere nota alla popolazione americana la Dichiarazione di Potsdam. Nonostante fossero già stati predisposti dei piani per l'invasione di Hokkaido e delle altre tre isole maggiori dell'arcipelago, l'inquilino della Casa Bianca sapeva da tempo che difficilmente i giapponesi avrebbero accettato una resa senza condizioni: i rapporti inviati dal Pacifico che raccontavano con dovizia di particolari e sommo orrore dei suicidi di massa tanto dei militari quanto dei civili di fronte all'avanzata statunitense chiarivano il grado di fanatismo raggiunto dalle forze nipponiche. Per il soldato giapponese medio, l'alternativa alla vittoria era la morte in battaglia: resa e prigionia erano ritenute condotte disonorevoli, un peccato mortale agli occhi della propria famiglia, della nazione e dell'imperatore. Truman non si faceva illusioni sulla risposta del nemico e già sapeva che nel giro di qualche giorno quella bomba avrebbe trovato impiego operativo. E quando a Pennsylvania Avenue arriva la dichiarazione dell'ammiraglio Suzuki, il via libera per Little Boy.

A Tinian nel frattempo la squadra di scienziati si è già messa all'opera. Per non correre rischi, la bomba ha viaggiato completamente smontata ed accompagnata da quattro degli otto involucri realizzati appositamente ed ideati anche per effettuare dei test inerti. Nei giorni successivi il colonnello Paul W. Tibbets, comandante designato della missione, effettua varie prove di bombardamento in mare sganciando tre pre-assemblaggi inerti al fine di testare ogni singolo dettaglio dell'operazione. Per evitare una esplosione accidentale in fase di decollo, equipaggio ed equipe scientifica decidono di mantenere separati l'ordigno ed i quattro sacchetti di polvere di cordite destinati a fungere da detonatore dell'innesco, istruendo quindi gli avieri a compiere in volo la manovra di armamento della bomba. Nonostante nelle prove Tibbets abbia usato spesso un B-29 Superfortress designato col nomignolo di "Jabit III", per lo sgancio sull'obiettivo è stato prescelto un altro B-29 che porta un curioso nome, quello di "Enola Gay", datogli dal comandante dello squadrone in omaggio alla propria madre. Sarà proprio "Enola Gay" ad effettuare il test di prova generale il 29 luglio al largo di Tinian ed a decollare otto giorni dopo per sganciare la bomba su Hiroshima.

Dell'estrema segretezza della missione ne farà le spese la USS Indianapolis. Lasciata Tinian per un veloce trasferimento nella vicina Guam, alla nave viene ordinato di spostarsi a Leyte per poi ricongiungersi alla Task Force 59 dell'ammiraglio McCormick. Lungo la rotta seguita l'incrociatore, privo ancora di una scorta (il cacciatorpediniere USS Underhill è stato affondato un giorno prima senza che l'informazione sia stata divulgata), cadrà nell'agguato posto dal sommergibile giapponese I-58 il cui comandante, Mochitsura Hashimoto, deciderà di non utilizzare i siluri umani Kaiten per impiegare invece una salva di ordigni subacquei convenzionali. Due di questi colpiranno al fianco l'Indianapolis causando una terribile esplosione ed il rapido affondamento, con la perdita immediata di oltre 350 vite umane; dei circa 800 sopravvissuti, appena 318 verranno salvati solo 84 ore dopo il disastro: un misto di distrazioni, segnali erronei e sottovalutazioni condanna buona parte dell'equipaggio a morire in mare per disidratazione, per insolazione, per avvelenamento da acqua salmastra o per attacchi di squali. A guerra terminata il comandante dell'Indianapolis, capitano di vascello Charles Butler McVay III, sarà sottoposto a corte marziale con l'accusa di non aver fatto tutto il possibile per evitare il siluramento: riconosciuto colpevole e rimosso dal servizio attivo nonostante la testimonianza a suo favore di alcuni sopravvissuti e di Hashimoto, verrà riabilitato dall'ammiraglio Nimitz. I famigliari delle vittime dell'affondamento però non perdonarono mai McVay montando contro di lui una feroce campagna d'opinione fino a spingerlo al suicidio, il 6 novembre 1968.

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