"Mi scusi, signor Ambrosoli..."

Una sera estiva con gli amici. La famiglia, moglie e figli, sono partiti per le ferie, ma il lavoro ti obbliga a stare ancora un po' in città. Quindi, che fai? Organizzi una cena con un paio di conoscenti, poi guardi un match di boxe in televisione (Righetti vs. Zanon, in palio il titolo europeo dei pesi massimi) ed alla fine rincasi: d'altronde il giorno dopo ti attendono per un atto formale importante, l'ultimo impegno prima di poter raggiungere i tuoi cari in vacanza. Il tempo di parcheggiare l'auto vicino casa, controlli la chiusura della portiera. Ed è in quel momento che una voce strana, con un forte accento inglese, ti chiama nell'oscurità. Una voce particolare, mai udita prima. Una voce cupa eppure garbata, chiede persino scusa, prima di essere seguita da alcuni spari nel buio. E' l'11 luglio 1979 e muore così, in una strada di Milano, l'avvocato Giorgio Ambrosoli.

Al di fuori dell'ambiente meneghino e finanziario, il cognome Ambrosoli dice poco nulla. Nei corridoi della Banca d'Italia invece è ben conosciuto: il 27 settembre 1974 il governatore Guido Carli incarica proprio quell'avvocato all'epoca quarantenne, segnalato come ottimo conoscitore delle procedure di liquidazione coatta amministrativa, di una questione delicatissima. Sulla scrivania di via Nazionale c'è un dossier preoccupante e riguarda un istituto di credito milanese, una brutta gatta da pelare, una banca sul punto di saltare in aria a causa di politiche scellerate intraprese dal suo proprietario. Non è un colosso del settore, eppure c'è qualcosa di strano in quella vicenda. I giornali se ne stanno occupando da alcuni giorni anche perché la Procura della Repubblica di Milano ha spiccato un mandato d'arresto per il presidente dell'istituto, un altro avvocato, un siciliano trapiantato in Lombardia. Un uomo di nome Michele Sindona.

Se Ambrosoli è ben poco conosciuto al di fuori del ristretto ambito professionale, al contrario Sindona è una stella del firmamento finanziario. Nativo di Patti (provincia di Messina), dopo la guerra ha sfruttato il boom economico della ripartenza industriale per trasferirsi a Milano divenendo ascoltato consigliere di numerosi grandi imprenditori desiderosi di pagare poche tasse e di nascondere al fisco buona parte dei guadagni. I clienti di Sindona, un vero esperto di pratiche fiscali, sono i più bei nomi della Brianza. Ma don Michele non vuole essere soltanto un consulente, vuole diventare lui stesso un personaggio importante, un padrone. L'occasione arriva quando uno dei suoi clienti gli chiede di risolvere una grana legata ad una ditta metalmeccanica in cattive acque: Sindona investe qualcosa per far apparire l'azienda in ripresa, demolisce la fabbrica, vende il terreno reso edificabile e cede infine la patacca all'americana Crucible Steel il cui direttore commerciale è un suo ottimo amico. Il successo nell'operazione spalanca a Sindona le porte del pacchetto azionario della Banca Privata Finanziaria, un istituto monosportello con sede a Milano.

In breve emerge la natura di squalo finanziario di Sindona. Divenuto ottimo conoscitore delle Anstalten e dei meccanismi fiscali dei paradisi europei come il Lichtenstein, l'avvocato messinese fonda a Vaduz la Fasco AG, una finanziaria con azioni al portatore in cui fa confluire di volta in volta tutti i pacchetti azionari di controllo delle società di credito che vengono razziate, dalla BPF alla Wolff Bank di Amburgo, dalla Continental Illinois Bank di Chicago alla Amincor di Zurigo. L'impero di Sindona si basa soprattutto sulle banche che fungono da polmone finanziario di altre attività da lui possedute che spaziano in numerosi ambiti, dall'alimentare alla chimica. Ad inizio anni '70 Sindona si prepara a compiere il passo decisivo per consacrare il suo impero, cioè la conquista delle ex società elettriche divenute finanziarie dopo la nazionalizzazione del settore. Nella pancia di tali aziende sono depositati centinaia di miliardi di lire, senza vincoli di reimpiego, oltre ai pacchetti azionari di Montedison, Fiat, Pesenti, SNIA: un bottino troppo ghiotto per non attirare un predatore.

Sindona parte all'attacco ed in poche settimane assume il controllo della Centrale Finanziaria, ex elettrica del Centro Italia, sottraendola ai suoi vecchi titolari (Orlando, Pirelli, RAS) con un'abile mossa che ne fa crollare il valore delle azioni sul mercato. Appena acquisita la Centrale, Sindona ricomincia la sua offensiva e mette nel mirino la Bastogi, già ferroviaria ed elettrica di Puglia, Campania e Calabria. Forse l'avvocato non lo sa ma il boccone è troppo grande per le sue fauci: parte del pacchetto azionario della Bastogi è di proprietà del fondo pensionistico dei dipendenti di Bankitalia e Guido Carli in persona si oppone all'operazione, d'accordo con il Ministero delle Finanze e con Enrico Cuccia, dominus di Mediobanca. Sconfitto, Sindona deve abbandonare il campo e liberarsi pure della Centrale che viene parcheggiata all'interno del Banco Ambrosiano sotto la tutela di Roberto Calvi e Mario Valeri Manera.

La spregiudicatezza di Sindona allerta via Nazionale che dispone alcune ispezioni. Ma Sindona è piuttosto tranquillo, sa di avere le spalle coperte dalla Democrazia Cristiana cui elargisce generose somme specie in occasione della campagna referendaria per l'abrogazione del divorzio. La fortuna volta rovinosamente le spalle al siciliano nel 1974: il referendum sancisce la scottante sconfitta della DC, i giochi speculativi sui cambi bruciano le riserve monetarie del suo gruppo ed improvvisamente le sue banche accusano una crisi di liquidità, temporaneamente tamponata da un prestito avvallato dal Banco di Roma diretto da Mario Barone, suo vecchio amico di poker ai tempi dell'università a Messina. La terra inizia a tremare sotto i piedi di Sindona, tanto che negli Stati Uniti la Franklin National Bank, uno dei 20 maggiori istituti di credito americani, è sull'orlo della bancarotta. Il paracadute politico pare non funzionare più, il titolo platonico di "salvatore della Lira" attribuito da Giulio Andreotti pochi mesi prima non è sufficiente ad evitare che si scateni un uragano di proporzioni catastrofiche. L'ultima mossa di Sindona è la fusione della BPF con la Banca Unione, operazione da cui nasce la Banca Privata Italiana, un soggetto già malato e destinato a vita breve ed assai ingloriosa visto che i risparmiatori si mettono in coda per ritirare i loro soldi prima di un crack ormai inevitabile.

Sindona scappa a New York e Guido Carli chiama un commissario liquidatore nella persona dell'avvocato Ambrosoli. Esponente di una famiglia della borghesia meneghina, monarchico di profonda fede cattolica, sposato con tre figli, Ambrosoli è una persona risoluta, un professionista ligio al proprio dovere ed al codice deontologico. Corrado Stajano lo definirà felicemente come "un eroe borghese". Per Sindona, Ambrosoli è quanto di peggio potesse capitargli: il commissario non è un passacarte né un semplice impiegato da intimorire o corrompere. Ambrosoli si insedia in un ufficio della Banca Privata Italiana e lavora giorno e notte per ricostruire lo schema dell'intricata tela del ragno. Dopo qualche mese, grazie all'aiuto del maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre, scopre un archivio segreto in cui sono custoditi i mandati fiduciari della Fasco e di altre società della galassia Sindona. Sono i documenti necessari per tracciare i contorni di uno scandalo epocale, tanto che lo stesso Ambrosoli con quelle carte in mano può recarsi a Vaduz e sostituire il CdA della Fasco rimuovendo tutti i fedeli di Sindona facendo luce sulle reali proprietà delle società del gruppo.

Sindona è furibondo. Dal suo appartamento all'Hotel Pierre di New York dove risiede, ordina al suo avvocato Rodolfo Guzzi di denunciare Ambrosoli per appropriazione indebita. Poi spedisce lettere minatorie e ricattatorie ad Enrico Cuccia per avere il suo appoggio. Successivamente avvia una sequela di ricatti nei confronti di politici ed industriali avvalendosi di un documento scottante denominato "Lista dei 500" - un elenco di personaggi di spicco che grazie a Sindona avevano esportato capitali all'estero sottraendoli al fisco italiano - e delle pressioni esercitate da due alleati di spicco. Perché Sindona non è da solo, alle spalle ha la mafia italoamericana e la congrega della P2.

Chi invece è sempre più solo è proprio Ambrosoli. In pochi lo aiutano e gli restano fedeli. Chi osa confermargli fiducia va incontro alla spietata vendetta dei protettori di Sindona: è il caso del governatore di Bankitalia Paolo Baffi e del suo vice Mario Sarcinelli, ingiustamente accusati dai magistrati Alibrandi ed Infelisi e costretti il primo alle dimissioni ed il secondo alla carcerazione. Su Ambrosoli si addensano nubi sempre più nere ma lui continua nel suo lavoro. Sa di correre dei rischi, lo specifica anche alla moglie Annalori cui indirizza alcune lettere nelle quali ricorda l'impegno giovanile nelle fila monarchiche, la volontà di aiutare il Paese, la fiducia in un futuro europeo anche per i figli ed il timore per quanto sta facendo nella sua opera di liquidatore.

Perché da un po' di tempo strane telefonate arrivano al centralino della Banca Privata Italiana. L'autore che parla con uno smaccato accento siciliano viene soprannominato "Il Picciotto" e nelle prime chiamate blandisce Ambrosoli, ne chiede la collaborazione (anche promettendo del denaro) perché possa avvalorare un picaresco piano di salvataggio disegnato da Guzzi e Sindona che consentirebbe al gruppo di sopravvivere scaricando i debiti sui cittadini italiani. Ambrosoli non è stupido e registra le telefonate finché il Picciotto non se ne accorge. Da quel momento non c'è più spazio per la trattativa ma solo per preannunciare una fine orribile: "Io non la salvo più, lei merita di morire ammazzato come un cornuto", urla il Picciotto. Ambrosoli scuote le spalle, riattacca la cornetta e torna alla scrivania. Il suo compito è quasi terminato, ha già completato la relazione dello stato passivo della banca e mancano solo gli ultimi passaggi tra cui la deposizione avanti gli inquirenti americani che vogliono processare Sindona per il crack della Franklin per chiudere un lavoro di cinque anni.

Ad inizio luglio 1979 è tutto pronto per la conclusione della pratica. Ambrosoli manda la famiglia in vacanza, vuole raggiungere moglie e figli dopo aver firmato gli ultimi documenti per terminare il proprio compito ed incastrare Sindona, che in America rischia una condanna a diversi anni di carcere. L'avvocato milanese non sa che pochi giorni prima dall'America è arrivato il suo boia. Si chiama William Joseph "Bill" Aricò, è un killer italo-americano già evaso di galera, ingaggiato da Sindona su suggerimento di Robert Venetucci e della famiglia mafiosa Gambino. E' Aricò che tende l'agguato mortale: "Mi scusi signor Ambrosoli..." dice la sera dell'11 luglio 1979, prima di sparare quattro colpi di 357 Magnum che uccidono all'istante un semplice eroe borghese.

Ai funerali di Ambrosoli la solitudine dell'avvocato si manifesta nella presenza di Paolo Baffi, distrutto dal dolore, unica personalità estranea alla famiglia assieme al maresciallo Novembre che ha rifiutato promozioni e nuovi incarichi per restare a fianco di quell'uomo perbene. Aricò viene catturato pochi mesi dopo e finisce i suoi giorni terreni in un mai chiarito tentativo di evasione dal penitenziario di Long Island. Sindona, mandante dell'omicidio, finge un rapimento da parte di un'organizzazione terroristica ma è solo un disperato tentativo di indurre qualcuno ad aiutarlo puntando sulla paura delle possibili rivelazioni scottanti che potrebbe rendere. Fallito il progetto, si costituisce e si fa condurre in carcere: in America è condannato per il crack della Franklin, uno dei peggiori disastri finanziari di sempre; estradato in Italia e condannato all'ergastolo per l'uccisione dell'avvocato Ambrosoli, don Michele viene rinchiuso in una cella del carcere bunker di Voghera. Il 22 marzo 1986 all'ora di colazione Sindona beve il suo ultimo caffè che qualcuno (forse lui stesso) ha corretto con del cianuro di potassio, portandosi nella tomba non solo tanti segreti scottanti ma soprattutto l'infernale colpa di aver ordinato la morte di un servitore laico dello Stato.

Commenti

Post popolari in questo blog

Nome in codice: Wunderwaffen

Il Frankenstein di Panama

"Non avranno mai le nostre navi!"