Quando gli amici, anzi gli alleati, cambiano schieramento è sempre un bel problema. Non si sa come comportarsi, se abbandonare i precedenti legami per una fredda e distaccata diplomazia dell'etichetta oppure reagire in maniera violenta a mo' di ritorsione. Se poi in gioco ci sono equilibri assai delicati, la partita diviene ancor più complessa tanto da comportare la possibilità che gli ex alleati irrobustiscano le fila avversarie rovesciando rapporti di forza consolidati.

Alle prime luci del 3 luglio 1940 l'ammiraglio Marcel-Bruno Gensoul, comandante della flotta francese ancorata a Mers-el-Kébir, viene svegliato dal suo stato maggiore con una notizia che mai si sarebbe aspettato di ricevere: fuori dalla rada della base nei pressi di Orano, in Algeria, sono apparse tre grosse navi da battaglia, una portaerei ed altro naviglio minore. Nazionalità britannica. E' la H Force di Gibilterra al comando di James Fownes Somerville. "Intenzioni?", domanda Gensoul ai suoi sottoposti. La risposta in fondo la conosce già: tra francesi ed inglesi, alleati sino a poche settimane prima, potrebbe scorrere il sangue anche se da entrambe le parti sinora si è cercato di evitare lo scontro.
La Francia repubblicana capitola nel giugno 1940 di fronte al poderoso colpo di scimitarra dello Heer che attraverso l'invasione delle Ardenne e del Benelux neutrale elude la Linea Maginot e piomba nelle pianure settentrionali facendo a pezzi l'Armée ed il Corpo di Spedizione Britannico. A Dunkerque gli Alleati riescono a reimbarcare in maniera avventurosa decine di migliaia di uomini ma per la Francia è la fine e l'armistizio di Compiégne piega l'orgoglio nazionale. Sulla Tour Eiffel sventola la svastica, metà del Paese è sotto occupazione nazista mentre a sud nasce il governo di Vichy, collaborazionisti guidati dal vecchio maresciallo Pétain e da Pierre Laval. L'obiettivo del nuovo Esecutivo è salvare il salvabile, a cominciare dall'impero coloniale che ingolosisce i giapponesi - l'Indocina diviene in breve un protettorato dell'Impero nipponico - e gli italiani. Ma Mussolini, entrato in guerra attratto dalla prospettiva di una facile vittoria al fianco di Hitler, pare non limitarsi alle mire sulla Tunisia: il dittatore romagnolo potrebbe puntare alla flotta francese ed è questa prospettiva che agita i sonni degli ammiragli inglesi.

La Marine Nationale arriva all'appuntamento con l'armistizio in condizioni perfette. Nei nove mesi abbondanti di conflitto con la Germania e nelle poche settimane di confronto con l'Italia, i francesi hanno perso solo qualche unità minore, il grosso della flotta è intatto. Non solo: sono quasi pronte anche le due nuovissime corazzate della classe "Richelieu", navi di ultima concezione che possono dettare legge sui mari. D'altronde alla Conferenza Navale di Washington del 1922 la Francia aveva ottenuto la qualifica di quarta potenza marinara mondiale, pur dovendo ingerire a forza un rapporto di equilibrio con l'Italia. Al momento dell'entrata in guerra i francesi dispongono di cinque vecchie corazzate rimodernate (due sono comunque ai limiti del servizio attivo e verranno dismesse a breve), di due moderni incrociatori da battaglia classe "Dunkerque", di un nucleo nutrito di incrociatori pesanti e leggeri, di cacciatorpediniere particolarmente veloci e ben armati e di una buona flotta subacquea. Una unica portaerei, la "Béarn", completa la flotta, ma si tratta di una nave mal concepita e di scarso valore bellico.

Quando la Francia si arrende, l'umore del primo ministro britannico Winston Churchill diviene ancor più cupo. L'idea che tutte quelle navi possano aggiungersi alla Regia Marina italiana è terrorizzante, una prospettiva catastrofica per la Gran Bretagna che dipende dai rifornimenti via mare americani e delle colonie per non morire di fame e che da secoli punta sulla forza della Royal Navy al fine di garantire il traffico marittimo commerciale. Churchill sguinzaglia gli uomini dello spionaggio navale, vuole avere aggiornamenti costanti della situazione. Sa già che poco prima della capitolazione l'intera flotta francese ha levato l'ancora da Brest e si è rifugiata altrove: alcune unità sono in porti inglesi, altre nelle Antille o in Madagascar, ma il grosso è frazionato nell'Africa coloniale, tra Dakar e Mers-el-Kébir. A Tolone, unico porto militare rimasto in mano a Vichy, ci sono una squadra di incrociatori ed alcuni sommergibili, nulla da temere insomma. Il pericolo, quello reale, può venire soltanto dall'Africa.

In realtà le notizie che arrivano dal fronte opposto dovrebbero rasserenare il vecchio Winston. Pochi giorni dopo la capitolazione il comandante in capo della Marine Nationale, ammiraglio François Darlan, ha ribadito ai suoi collaboratori di non avere intenzione di consegnare le navi, neanche se fosse previsto dalle clausole armistiziali. Gli inglesi lo sanno perché i cablo di Darlan vengono puntualmente letti anche a Londra, eppure non si fidano. Così a fine giugno l'alto comando prepara l'Operazione Catapult: il piano prevede di requisire le navi nei porti inglesi o renderle inoffensive, mentre le unità presenti in basi francesi dovranno essere persuase al disarmo. In caso di resistenza, aprire il fuoco e distruggere tutto ciò che galleggia. Gli ordini vengono trasmessi a Somerville a Gibilterra che quasi ha un sussulto leggendoli. Per lui, che fino a pochi giorni prima ha combattuto fianco a fianco con i francesi, non è semplice dover ubbidire.

Il 3 luglio scatta la prima parte di Catapult. Nei porti britannici i fucilieri di marina della Royal Navy prendono possesso delle navi francesi. L'operazione è incruenta, tranne che nell'abbordaggio al sommergibile "Surcouf" dove per un malinteso un ufficiale francese muore e due marinai restano feriti. Ad Alessandria d'Egitto la "Lorraine" aggregata alla Mediterranean Fleet butta a mare gli otturatori dei cannoni dichiarando di accettare l'internamento in base, imitata dalle altre unità transalpine presenti in rada. Fin qui, tutto bene.
Somerville, partito con la sua squadra la sera prima da Gibilterra, si presenta davanti a Mers-el-Kébir e chiede di parlare con Gensoul. Il primo messaggio è insolitamente duro, probabilmente suggerito da Londra: resa e consegna delle navi o autoaffondamento, queste le condizioni britanniche. Poco dopo il capitano Holland a bordo di un cacciatorpediniere entra in porto e comunica a Gensoul le opzioni disponibili. La Gran Bretagna, dichiarandosi dispiaciuta per l'andamento della guerra e per la capitolazione francese, chiede che le navi siano affidate ad equipaggi britannici, promettendo a fine conflitto di restituirle ai legittimi proprietari che verranno indennizzati economicamente per le eventuali perdite subite in mare. In alternativa, la flotta francese può seguire gli inglesi in un porto neutrale (meglio se americano) in cui le navi verranno internate sotto garanzia sino al termine delle ostilità. Gensoul chiede tempo, dice di dover contattare il proprio governo ed il comando della Marine, non può decidere in solitaria rischiando di essere accusato di alto tradimento ed a tal fine ricorre a qualunque stratagemma per rimandare la scadenza dell'ultimatum. Ma nel frattempo da Tolone gli chiedono di resistere, gli manderanno soccorsi, una divisione di incrociatori che prenda alle spalle la H Force e che obblighi i britannici a ritirarsi. Dopo ore di stallo gli assedianti formulano una terza proposta: "Venite a combattere i tedeschi con noi". Nessuna risposta.

A bordo dello "Hood" Somerville attende con nervosismo, teme che Gensoul prenda tempo solo per sovvertire i rapporti di forza ed intanto fa minare uno degli imbocchi del porto. Nel pomeriggio la pazienza si esaurisce e quando arriva la notizia del cablo da Tolone e del fatto che le grosse navi in rada stanno accendendo le caldaie (prove di sortita?), l'ammiraglio decide di passare all'azione. La squadra inglese è disposta da manuale, ha una perfetta visuale del porto e degli ancoraggi ed alle navi viene ordinato di prepararsi al fuoco di bordata.
Gensoul sa che ormai non c'è altro da fare che combattere e ordina ai rimorchiatori di aprire le reti antisiluro ed alle navi di iniziare a scaldare le macchine per uscire in mare. Non sa ancora, l'ammiraglio, che la disposizione in rada di corazzate ed incrociatori da battaglia renderà più semplice il ruolo degli attaccanti e quasi impossibile una difesa.

Quando alle 16:56 la H Force apre il fuoco, protetta da una cortina fumogena alzata dai cacciatorpediniere di scorta, inizia il massacro. Le prime salve servono giusto a definire i bersagli, poi i proiettili vanno a segno. Inizialmente l'unica nave in rada a reagire è la vecchia "Provence" dove il direttore di tiro, un asso della specialità di nome Pierre Emile Marie Cherrière, decide di sparare con i grossi calibri attraverso le alberature della "Dunkerque" mentre le due navi escono dalla rada: la salva migliore manca lo Hood di 2mila metri mentre gli artiglieri inglesi inquadrano i due obiettivi martellandoli di proiettili da 381mm. Uno di questi centra in pieno la seconda torre di grosso calibro del "Dunkerque" esplodendo all'esterno, uccidendo i serventi all'interno e ammazzando con le schegge anche Cherrière ed i suoi sottoposti nella vicina "Provence". Le due navi vengono bombardate senza pietà, la "Provence" deve allagare i depositi munizioni per non saltare in aria e si arena su una secca per evitare di colare a picco, mentre il "Dunkerque" colpito a ripetizione continua a sparare senza però infliggere danni agli avversari ma costringendoli comunque ad accostare più al largo. Molto peggio va alla "Bretagne" che, libera dagli ormeggi, fa giusto in tempo a carburare quando viene centrata da tre salve ravvicinate da 381mm: l'esplosione che ne consegue nel locale caldaie fa sussultare la vecchia nave che in pochi minuti si capovolge ed affonda, portando con sé oltre mille uomini dell'equipaggio. Mentre si compie la tragedia, l'ultima grande nave in porto, lo "Strasbourg", rompe l'accerchiamento sparando all'impazzata, seguito nella sua fuga dalla rada dalla portaidrovolanti "Commandant Teste" e da una squadriglia di caccia. Dopo un'ora e mezza di combattimento e con lo "Strasbourg" in fuga, Gensoul fa alzare il pennello nero (segnale di resa) sulle navi ancora a galla mentre Somerville rinuncia all'inseguimento e ritorna a Gibilterra.

Il massacro di Mers-el-Kébir provoca sdegno in parecchie parti del globo. Vichy è quasi tentata dal dichiarare guerra al Regno Unito ma si limita a dare istruzioni alla base di Dakar dove un tentativo di abbordaggio da parte di una squadra della Royal Navy è respinto a cannonate dalla "Richelieu". Charles de Gaulle, autonominatosi capo della Francia Libera, non gradisce granché l'iniziativa inglese: "Il più grande piacere della Marina della Francia Libera sarebbe quello di bombardare i britannici", dichiara sfidando apertamente Churchill. Quel che resta della flotta francese si raduna da quel momento in due basi, a Dakar ed a Tolone, reagendo solo nei rari casi di approccio aggressivo da parte degli Alleati. Quando nel novembre 1942 con l'Operazione Torch gli angloamericani sbarcano in Nordafrica, le navi di Dakar seguono de Gaulle; a Tolone invece l'ammiraglio de Laborde alla vista dei soldati tedeschi venuti a requisire la flotta all'ancora - comprese "Provence" e "Dunkerque" riportate a galla e riparate - proclama: "Non avranno mai le nostre navi!". E' il segnale, la flotta si autoaffonda in maniera tragica.
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