L'ultima occasione

Il 22 agosto 1962 è un mercoledì. Un giorno come tanti altri, nell'estate parigina dominata dall'afa e con le strade deserte. I francesi sono in vacanza, molti si sono diretti alle spiagge sulla Manica o verso il Mediterraneo per cercare refrigerio. Eppure c'è ancora chi lavora per il Paese. O contro il Paese, dipende dai punti di vista. Quel giorno il presidente della Quinta Repubblica Charles de Gaulle è tornato nella Capitale transalpina per presiedere una riunione del gabinetto di governo: sul tavolo ci sono troppe questioni spinose per rinviare, dalle questioni economiche al nodo dell'Algeria.

Già, l'Algeria. A riportare de Gaulle sulla scena politica è stato proprio il caos algerino, la prolungata guerra coloniale con l'FNLA che il vecchio generale ha deciso di risolvere in maniera inconsueta, aprendo alla richiesta di indipendenza del Paese magrebino. Una decisione che non è piaciuta all'ala più dura dei militari che con un tentato putsch hanno già provato a rovesciare la democrazia e che successivamente hanno avviato una campagna di terrore sia nell'ormai ex colonia che nel territorio metropolitano. L'OAS (Organisation de l'Armée Secrète) ha dichiarato guerra a de Gaulle e ne chiede la testa.

Da tempo i membri clandestini dell'organizzazione terroristica tramano per attentare alla vita del presidente. Un primo tentativo nel 1961 è fallito ma i congiurati non intendono arrendersi. L'entourage di de Gaulle cerca inutilmente di convincere il presidente a rinunciare ad eccessivi spostamenti in auto che sono giudicati ad alto rischio ma non c'è verso di convincere il generale a rinunciare alle sue passeggiate mattutine nei boschi della Boisserie, la sua residenza estiva a Colombey-les-Deux-Eglises tra le colline dell'Alta Marna. Alle 11 del mattino il corteo presidenziale lascia la Boisserie e si avvia a Parigi dove alle 16 è prevista la riunione. Il vecchio soldato non lo sa ma la morte è in agguato, in un sobborgo parigino quattro uomini sono in attesa. Sono tutti ex militari e tutti ricercati per sedizione, diserzione, alto tradimento, tentato omicidio e banda armata. Alla guida del gruppetto c'è un 34enne originario della regione della Mosa, una laurea in ingegneria aerospaziale al Polytecnique ed un grado da tenente colonnello dell'Aeronautica con esperienza di progettazione di missili aria-aria per l'industria nazionale.

Jean-Marie Bastien-Thiry ha aderito alla rivolta dell'OAS circa un anno prima. Proviene da una famiglia gollista, suo padre ha fatto il Maquis ed è entrato nelle Forze della Francia Libera ai tempi della guerra mentre la moglie Geneviève ha anch'ella parecchi parenti tra gli ex membri della Resistenza ma anche un'ombra rappresentata dal padre, Georges Lamirand, personaggio di spicco dei collaborazionisti di Vichy. Quando il 21 aprile 1961 Raoul Salan proclama il golpe da Algeri, Bastien-Thiry non sa ancora come comportarsi ma la repressione successiva al fallimento del sollevamento militare spinge diversi ufficiali tra le braccia della nascente OAS. L'obiettivo degli insorti è la vendetta contro “Il Grande Zhora”, il nomignolo assai poco affettuoso affibbiato a de Gaulle. L'8 settembre 1961 a Pont-sur-Seine però il commando terroristico fa cilecca. Bastien Thiry è da poco entrato in clandestinità e si assume la responsabilità davanti al capo dell'organizzazione Jean-Pierre Susini di pianificare un nuovo tentativo di assassinio. Susini si fida, quel giovane ufficiale ha nomea di essere molto preciso e metodico e soprattutto è autenticamente devoto alla causa. 


Nessuno sa cosa abbia fatto scattare in Bastien-Thiry la molla che lo ha fatto passare dal fronte gollista a quello opposto, ma per settimane e poi mesi l'ingegnere studia le abitudini di de Gaulle, i suoi spostamenti, le agende degli appuntamenti. Il punto debole è individuato nei tragitti in auto in cui la scorta è affidata ad una seconda vettura che segue la Citroën DS presidenziale ed a due staffette in moto. Un gruppo di fuoco ben coordinato può quindi centrare l'obiettivo a patto di agire in maniera coordinata al secondo. L'idea di Bastien-Thiry è di tendere un doppio agguato simultaneo al corteo sulla strada tra il centro di Parigi e l'aeroporto. Ad agire saranno tre tiratori scelti, uno a bordo di un furgone parcheggiato a bordo carreggiata e due su una vettura che dovrà tagliare la strada alla DS. Sarà lui, capo dell'operazione, a dare il segnale decisivo.

Alle ore 20 del 22 agosto 1962 Charles de Gaulle lascia l'Eliseo. Non è di buon umore, anzi è scocciato per quello che definisce un ritardo nella definizione dell'agenda di governo. Sull'auto presidenziale prendono posto la moglie, il genero ed il maresciallo Marroux, autista di fiducia che si mette al volante. Madame de Gaulle è impaziente di rientrare alla Boisserie, ha acquistato dei polli che intende cucinare il giorno dopo per pranzo. Segue la prima vettura una seconda DS con tre uomini di scorta mentre due moto BMW di staffetta precedono il piccolo corteo che attraversa i quartieri. Il generale ha fretta, chiede a Marroux di non optare per i soliti tortuosi itinerari e di puntare sulla strada più rapida per l'aeroporto, quella che passa per il sobborgo di Petit-Clamart.

La trappola è tesa. In Avenue de la Libération un Bastien-Thiry in borghese attende il passaggio dell'obiettivo, una copia de “Le Figaro” arrotolata sotto il braccio sinistro. Nessuno dei pochi passanti gli presta attenzione, appare a tutti come un classico parigino che si riposa appoggiato ad un lampione dalla calura agostana. Ma quel giornale è uno strumento, serve a dare il segnale per il tenente Alain de La Tocnaye e per Jacques Prevost e Georges Watin, i componenti del commando che attendono. Troppo tardi Bastien-Thiry si rende conto che a causa della disposizione di un camion parcheggiato lungo l'Avenue la visuale dei due tiratori a bordo della Citroën può essere compromessa tanto da non vedere il segnale. Ma non c'è tempo per recriminare sul contrattempo, stanno arrivando le moto di staffetta. Il capo della congiura agita il quotidiano sopra la testa sperando di essere visto proprio mentre l'auto del presidente gli passa a fianco.

Watin all'interno di un furgone Renault giallo vede il segnale convenuto, spalanca la portiera e vuota il caricatore del mitra contro le vetture in transito. Marroux dimostra sangue freddo al volante anche se una pallottola buca una gomma e si sposta rapidamente dalla linea di tiro. Gli altri due terroristi dovrebbero già essere là davanti a sbarrare la strada ed a vomitare proiettili sulla DS del Grande Zhora ma non hanno visto il segnale e solo gli spari di Watin li fanno intervenire. “Giù la testa!” urla Alain de Boissieu, genero del generale, poco prima che l'auto guidata da de la Tocnaye irrompa sulla via tra la DS di de Gaulle e quella della scorta. I mitra dei terroristi mandano in frantumi il lunotto posteriore, le pallottole sfiorano il presidente, la moglie, il genero e l'autista oltre ad uno dei motociclisti ma nessuno risulta ferito. L'attentato è fallito.

All'aeroporto de Gaulle reagisce con stizza: “Nemmeno sanno sparare, questi maiali!” dice, mentre esamina i danni patiti dalla Citroën per poi imbarcarsi sul velivolo che lo riporta nell'Alta Marna. Nel frattempo il CRS e la Gendarmeria si sono già attivati arrivando a Petit-Clamart e rinvenendo all'interno del Renault giallo mitragliatori, pallottole, granate fumogene e persino dell'esplosivo al plastico. Nessuna traccia dei terroristi, già fuggiti, ma proprio la presenza del Semtex è firma inconfondibile dell'OAS. Nelle settimane successive gli investigatori dello SDECE, chiamati alla riscossa dopo il recente massacro dei “Barbouzes”, si mettono al lavoro per dare un nome ed un volto agli attentatori. Watin scappa in Spagna ed evita la cattura, de la Tocnaye e Prevost invece finiscono ai ferri prima di Natale. Ai primi di gennaio Bastien-Thiry cade in trappola al suo rientro dall'Inghilterra ed è portato in un carcere militare. Il processo a suo carico è emblematico e la difesa punta sulla filosofia della ritorsione contro il presidente per i massacri di civili pied-noirs in Algeria avvenuti in seguito agli accordi con l'FLNA. La strategia però non sortisce effetti ed il 4 marzo 1963 arriva la sentenza: condanna a morte per tutti e tre gli imputati.

La mattina dell'11 marzo 1963 un drappello militare si presenta alla porta della cella dell'ex tenente colonnello al carcere di Ivry-sur-Senne: è il plotone d'esecuzione. La direzione dell'istituto penale ha deciso di anticipare la data della pena capitale in seguito al circolare di voci di un possibile assalto armato da parte dell'OAS per liberare il prigioniero. La richiesta di clemenza, accolta per i suoi complici, è già stata respinta: de Gaulle non ha perdonato il tentativo di uccidere anche la sua consorte. Quando nel cortile della prigione il cappellano si avvicina al condannato per portargli conforto religioso, trova Bastien-Thiry insolitamente calmo e tranquillo: “Padre, non si preoccupi. Nessun soldato francese sparerà un colpo contro un ufficiale francese”, dice. Sono le sue ultime parole, tre minuti più tardi verrà smentito da una scarica di fucileria che porrà fine alla sua vita.


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