Morte di un re

"Ehi Francis!". La voce napoletana di Pasquale Barra sovrasta la scena nel cortile del carcere nuorese di Badu 'e Carros, prigione di massima sicurezza destinata a mafiosi, terroristi e malavitosi particolarmente pericolosi. E' l'ora d'aria, i detenuti ne approfittano per parlottare, per fumare una sigaretta, c'è chi magari gioca a pallone. E chi legge una lettera: è il caso di Francesco Turatello, anni 37, milanese, re delle bische. Per tutti, Francis. Un nome noto nell'ambiente, un nome rispettato. Francis è dietro le sbarre da un po', lo hanno arrestato il 2 aprile 1977, due giorni prima del suo 33esimo compleanno e da allora ha fatto la spola dei bagni penali del Belpaese. Quella mattina Francis esce dalla cella con una lettera in mano, fa parte della posta del giorno. In cortile lo attendono gli amici ma anche un qualcosa di inaspettato.

Il nome Turatello è una sorta di garanzia. Di lusso, di bella vita, di gioco d'azzardo clandestino. E di revolverate, se non si sta alle regole o se qualcuno alza la cresta. Figlio di una sarta veneta che in pieno conflitto torna ad Asiago come sfollata, Francesco Turatello è abituato a vivere d'espedienti sin da ragazzino. Quando torna con la madre a Milano, la famiglia affronta quotidianamente le ristrettezze del dopoguerra. E' anche per questo che che a fine anni '50 il giovane Turatello si diletta come pugile: sul ring nasce il nickname di Francis, un nomignolo che lo accompagnerà sempre e che dicono sia dovuto alla voce insistente che lo circonda, secondo la quale sarebbe il figlio illegittimo del leggendario boss italo-americano Frank "Tre Dita" Coppola. Ma la nobile arte non basta per sbarcare il lunario, quindi Francis si dà da fare, prima come ladro d'auto e poi come mente di una batteria criminale, una banda dedita inizialmente alle rapine ma ben presto specializzata nei racket, della prostituzione e del gioco d'azzardo.

Milano è grande, Milano ha fame. Non di pane, bensì di divertimento. Il boom economico degli anni '60 crea nuovi bisogni nella rampante classe dei padroni, gli imprenditori con sempre più soldi in tasca e sempre più voglia di divertirsi anche infrangendo la legge. Turatello è sveglio e ha capito che, oltre al bypass della Legge Merlin che ha chiuso i bordelli, occorre offrire ai nuovi ricchi ma anche al bottegaio di quartiere o all'impiegato statale la possibilità di accedere ad un mondo dorato, quello delle roulette e dei tavoli verdi. In poco tempo la banda Turatello o gang dei catanesi (la maggior parte degli affiliati sono emigrati giunti al Nord da Catania) apre o acquisisce il controllo di diverse bische. Chi non si piega ai voleri del boss ne assaggia la violenza, con pestaggi, accoltellamenti, sparatorie. In breve, il lucroso giro delle sale da gioco clandestine è pienamente nelle mani del nuovo padrone della Milano by night. Il meccanismo è semplice ed oliato: il cliente, danaroso o meno non importa, è attirato in locali notturni attrezzati come veri e propri casinò in cui però vince il banco, raramente il cliente. E per non farsi mancare nulla, c'è sempre il cambista di turno, uomo di fiducia della banda che raccoglie in piena notte le suppliche disperate di chi è rovinato dal demone del gioco e necessita di contanti, dando in pegno i gioielli della moglie, le pellicce, l'auto, azioni della propria azienda.

Turatello quindi è un boss. Ed il suo giro si allarga perché col passare del tempo emerge un nuovo fenomeno criminale, quello dei sequestri di persona. La presenza in Brianza di numerosi bei papaveri della finanza ma anche di vari mafiosi al domicilio coatto pone le basi per altre imprese malavitose. In questo quadro si incastra il contatto e poi l'amicizia con altre gang emergenti, a cominciare da quella capeggiata a Roma da Albert Bergamelli. C'è sintonia tra i due boss, specie per gli affari dei rapimenti, ed in breve diventano amici e soci in affari, scambiandosi informazioni e facendosi reciproci favori: a tenere i contatti è uno dei due vice di Turatello, Ugo Bossi, che interloquisce sia con Bergamelli che con un altro ex pugile destinato a diventare tristemente famoso, Er Camaleonte Danilo Abbruciati. Ma non è tutto rose e fiori per Turatello giacché ad inizio anni '70 a Milano emerge una banda rivale, specializzata in rapine ai supermercati ed ai furgoni portavalori. Un'organizzazione militarmente preparata, determinata, che conta su specialisti balistici, autisti spericolati e gente pronta a tutto. Un'entità con cui gli attriti non tardano a manifestarsi.

A capeggiare la Banda della Comasina, cioè la gang rivale di Turatello, è un giovane milanese dagli occhi cerulei, Renato Vallanzasca Costantini. L'antipatia tra i due re della notte è immediata e violenta: troppo diversi, troppo irruenti entrambi, troppo abituati a considerarsi tutti e due padroni assoluti di Milano. Elegante, raffinato, circondato dai catanesi Turatello; spavaldo, arrogante, con un gruppo di fuoco interamente locale Vallanzasca. La rivalità degenera in guerra aperta in breve tempo, Vallanzasca manca di rispetto al rivale rapinando una delle sue bische e reagisce alle intimidazioni rivolte dai catanesi alla sua donna tendendo un agguato in piena notte a Turatello e soci. Ma non basta: Vallanzasca non pare conoscere freni e dopo essere evaso di prigione pianifica l'assalto all'esattoria di piazza Vetra salvo dover rinunciare dopo che in uno degli appostamenti preparatori al colpo scoppia una sparatoria che costa la vita ad un poliziotto e ad uno dei suoi compari. Quando il bel René si rifugia a Roma per farsi curare in seguito alla trappola di Dalmine in cui ha perso un altro complice uccidendo due poliziotti, sono in tanti a pensare che si sia cacciato nella tana del lupo. Nel febbraio del 1977 le manette scattano ai polsi di Vallanzasca nella Capitale, più di qualcuno nel mondo sommerso della mala mormora i nomi di Bergamelli e Turatello come ispiratori dell'arresto, una soffiata che ad alcuni proprio non piace.

In realtà la cattura di Vallanzasca non apre un periodo così fortunato per Turatello che anzi viene messo sotto pressione dalle Forze dell'Ordine mentre all'interno della sua banda qualcuno comincia a dubitare del polso del capo. Che sia per una leggerezza personale o per un tradimento interno, anche Francis finisce al fresco nemmeno due mesi dopo il suo rivale. Dietro le sbarre il re delle bische si fa trattare da autentico monarca, con cella singola, sigari, pasti serviti ed un nugolo di carcerati pronti a compiacerlo. Ma Turatello capisce che la lontananza dal suo mondo rischia di costargli tutto il potere precedentemente conquistato e quando vede che l'altro suo luogotenente, Angelo Epaminonda alias Il Tebano, inizia a fare di testa sua comprende che c'è qualcosa che non va. Ed è anche per questo motivo che in carcere si consuma la più incredibile delle trattative di pace e viene suggellata un'alleanza mai vista prima. Dopo anni di sgarri incrociati, di mitragliate, di spiate e di liti, Turatello avvicina Vallanzasca e gli propone di mettere da parte le vecchie ruggini: "Nessuno di noi due ha interesse a restare qua dentro mentre altri si danno da fare là fuori", argomenta Francis, convincendo Vallanzasca a rinunciare al suo proverbiale celibato per sposare una delle tante ragazze che gli scrivono ogni giorno, affascinate dallo sguardo e dalla nomea del Bel René. Il matrimonio è organizzato da Turatello che paga di tasca propria lo sfarzoso ricevimento organizzato all'interno del carcere di Opera dove il 14 luglio 1979 Vallanzasca sposa Giuliana Brusa, una giovane ingenua cui pare di toccare il cielo con un dito essendo riuscita ad impalmare il gangster più famoso d'Italia. Testimone dello sposalizio è Albert Bergamelli mentre Turatello figura come compare d'anelli, facendosi ritrarre in smoking pacchiano assieme al novello sposo a beneficio dei fotografi che vendono le immagini ai tabloid. Scorrendo le pagine della stampa rosa tanto ad Epaminonda quanto ad altri suoi colleghi criminali va di traverso il caffè, la foto della coppia Turatello-Vallanzasca sorridente che brinda e fuma un sigaro significa che pace è fatta tra i due e che non c'è spazio per altre rivalità. Pessima notizia per chi aveva sperato che l'arresto dei due potesse spianare la strada ad una nuova generazione di gangster.

La coppia di nuovi amici in realtà si separa a breve. Vallanzasca finisce a San Vittore, da cui tenta la fuga a fine aprile del 1980. Turatello invece è trasferito in Sardegna, a Badu 'e Carros, carcere di massima sicurezza dove le autorità cercano di isolarlo dal solito sottobosco malavitoso che fino a quel momento lo ha appoggiato. Nell'istituto di pena nuorese Francis fa amicizia con i neofascisti, soprattutto con Pierluigi Concutelli, con il quale condivide alcune idee estremiste e di cui apprezza la dimensione intellettuale. Ma a Badu 'e Carros ci sono anche molti potenziali nemici di cui Francis nemmeno conosce l'identità. Uno di questi è Pasquale Barra, O' Animale, uno dei killer prediletti del capo della NCO Raffaele Cutolo; un altro è Vincenzo Andraous, un catanese che lo accusa di essere un "infame", un informatore della Polizia o semplicemente un traditore. Tra le mura carcerarie le malelingue si scatenano: si dice che Turatello protegga un ex della Comasina condannato a morte dalla mala; oppure che Epaminonda e Cutolo ne abbiano già decretato la fine per spartirsi il suo impero delle bische dando anche il via libera al traffico di cocaina; c'è chi giura che Vallanzasca si sia già stufato dell'alleanza e che voglia semplicemente la testa del suo ex rivale; oppure c'è chi afferma che in cambio di un aiuto per liberare l'assessore Ciro Cirillo, prigioniero delle BR, il solito Cutolo abbia chiesto come favore la testa del boss milanese. 

Il 17 agosto 1981 ogni accusa, fondata o meno, trova conferma nel cortile di Badu 'e Carros. Francis esce dalla cella con la lettera, forse di una delle sue donne; sa già che il clima attorno a lui è peggiorato, giacché poco tempo prima Epaminonda ha manifestato la sua ribellione ordinando l'uccisione dell'avvocato Francesco Calafiori, suo legale di fiducia. Ma Turatello conta sull'amicizia dei neofascisti ed anche di Ugo Bossi, che da Milano gli fa sapere che Abbruciati, divenuto nel frattempo uno dei capi della Magliana, si sta interessando attivamente ai loro processi per ottenere revisioni o sconti di pena. Quella mattina Francis arriva in cortile, nota un gruppetto che discute di politica ma passa oltre, saluta Concutelli incurante del fatto che Barra e Andraous si siano appartati in un angolo a fumare con altri mafiosi come Antonino Faro e Salvatore Maltese. Giunto al centro dello spiazzo, il boss si ferma a leggere ed è in quel momento che Barra lo chiama ad alta voce: "Ehi Francis!". Turatello ha appena il tempo di voltarsi, lo stesso Barra ed Andraous gli sono addosso e lo immobilizzano mentre Maltese e Faro estraggono delle lame di fortuna colpendolo a ripetizione. Sono quaranta le coltellate che raggiungono il boss al ventre squarciandolo, facendo barcollare la vittima che però resta in piedi sino all'ultimo fendente nonostante dalla pancia squarciata si possano già vedere gli intestini. L'ultima pugnalata è quella fatale, alla carotide. "Ma che fate, bastardi? State ammazzando un bravo ragazzo!", urla impotente Concutelli che non fa in tempo a soccorrere l'amico. Francis Turatello stramazza infine al suolo mentre il cortile si svuota rapidamente. I giornali parleranno di vendetta interna, di faide, addirittura di Barra che in segno di spregio rovista tra le interiora ed addenta la milza del moribondo in segno di spregio. Tutte ricostruzioni fantasiose e che sporcano l'immagine di chi volle essere re di un città e delle sue mille luci e contraddizioni.

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