"Parigi brucia?"

"Ist Paris verbrannt?": il tono acuto, quasi stridulo, dell'inconfondibile voce del tiranno tedesco risuona attraverso il microfono del telefono rivestito in bachelite nera in una stanza al secondo piano dell'Hotel Meurice, elegante palazzo in Rue de Rivoli di fronte al giardino delle Tuileries, a Parigi. Sono le ore 11 del 25 agosto 1944 e nonostante la tensione e le gocce di sudore dovute al caldo ma soprattutto alla tensione, il generale Dietrich von Choltitz si sforza di mantenere la calma e di fornire una risposta sensata e soprattutto che eviti conseguenze nefaste. L'alto ufficiale germanico non si fa illusioni, sa cosa avviene a chi disubbidisce agli ordini abbaiati da Adolf Hitler ed è perfettamente conscio di avervi disubbidito. L'unica via di fuga per lui, per i suoi sottoposti e per i suoi famigliari, rimasti in Germania col rischio di divenire ostaggi, è rappresentata da una giusta ed equilibrata dose di diplomazia mescolata a tattica militare.

Da dieci giorni la meravigliosa capitale francese è in tumulto. Le prime avvisaglie di una vera e propria insurrezione popolare si vedono la mattina del 15 agosto quando Gendarmeria e polizia indicono uno sciopero: la motivazione ufficiale della protesta riguarda il sequestro delle armi leggere ordinato dagli occupanti tedeschi lasciando la forza pubblica locale completamente indifesa e priva anche di un reale riconoscimento operativo. In realtà si tratta di una motivazione di facciata, una scusa utile per indire una mobilitazione generale cui in breve aderiscono impiegati amministrativi, postini, bigliettai ed operatori della metropolitana. Il piano, partorito dal capo partigiano comunista Henri Rol-Tanguy, prevede una paralisi dell'attività ordinaria della capitale per disorientare e mettere in crisi i tedeschi, già abbastanza preoccupati per l'avvicinamento delle forze alleate e costretti quindi ad intervenire anche a supporto dei servizi fondamentali. "Ci mancava solo questa", pensa von Choltitz quando il suo aiutante maggiore gli comunica la notizia dello sciopero: giunto a Parigi appena sette giorni prima con l'incarico di Governatore generale della piazza e dotato di pieni poteri, il militare prussiano non si è mai fatto illusioni sulla reale portata del proprio incarico. Il 7 agosto Hitler in persona lo aveva convocato alla Wolfsschanze per la nomina e le istruzioni del caso, specificando nell'occasione che Parigi doveva essere trasformata in una sorta di enorme trincea in cui bloccare per mesi le armate avversarie, a costo di raderla al suolo. Durante il successivo viaggio verso la Francia al generale erano state comunicate due novità: la prima riguardava la fornitura di esplosivo, un regalo del Führer stesso per facilitare le demolizioni in città; la seconda era l'introduzione indiscriminata della Sippenhaft, la legge della colpa del sangue, che autorizzava il regime a prendere in ostaggio i famigliari di militari riluttanti o che disobbedivano agli ordini.

Il 18 agosto i muri di Parigi si tappezzano di manifesti che chiamano la popolazione all'insurrezione mentre lo sciopero generale non riguarda solo poliziotti e gendarmi, ormai asserragliati da giorni nella Prefettura dove è stata esposta per la prima volta dopo oltre quattro anni la bandiera francese, ma anche gli operai. La regia è sempre di Rol-Tanguy ma anche i gollisti stanno partecipando agli ultimi preparativi prima del confronto diretto con le forze occupanti. Il Maquis è perfettamente informato delle reali capacità delle truppe tedesche in città - dei 15mila uomini a disposizione di von Choltitz, oltre metà è composta da personale di retrovia non combattente; inoltre il feldmaresciallo Model ha requisito quasi ogni mezzo blindato moderno lasciando al suo subalterno appena 80 carri armati, quasi tutti vecchi modelli francesi di preda bellica - quindi la prospettiva di una guerriglia urbana ha buona possibilità di riuscita. Anche perché a differenza della contemporanea rivolta di Varsavia, a Parigi si sa che a pochi chilometri di distanza le truppe regolari golliste mordono il freno per intervenire e liberare la capitale evitando rappresaglie naziste. Mentre gli artificieri chiedono a von Choltitz istruzioni sull'utilizzo dell'esplosivo arrivato dalla Germania, Walter Model riceve una telefonata da Rastenburg che gli ordina di partecipare alla difesa ad oltranza di Parigi, costi quel che costi: "Non ho mai pensato ad altro - si giustifica il feldmaresciallo - Ma per riuscirci avrei bisogno di altri 200mila uomini e di almeno 6 divisioni corazzate". Risorse inesistenti, è chiaro, ed è proprio grazie a questi presupposti che Model può risucchiare fuori da Parigi le forze migliori attestandosi sulla Somme. Nella sua stanza all'Hotel Meurice Dietrich von Choltitz è sempre più solo.

La mattina del 19 agosto, proprio quando Model sposta le sue armate fuori dall'alveo della Senna, lo sciopero si trasforma in insurrezione. Per le strade appaiono barricate improvvisate, le rare pattuglie tedesche motorizzate sono prese di mira da scariche di fucileria e bombe Molotov mentre von Choltitz continua a tergiversare mantenendo l'esplosivo in deposito. Sa che disobbedire significa condannarsi a morte con le proprie mani ma proprio non se la sente, il generale, di sbriciolare secoli di storia architettonica per accontentare i capricci del folle dittatore. Nel frattempo, avuta notizia della rivolta in città, un nobiluomo francese implora De Gaulle di lasciarlo avanzare alla testa della propria unità per portare soccorso ai partigiani e liberare finalmente la città dopo oltre quattro anni di giogo nazista. Non è semplice strappare un'autorizzazione, d'altronde le forze della Francia Libera sono sottoposte al controllo alleato ed armate con materiale statunitense, ma la tentazione di piazzare un colpo sensazionale anche a livello propagandistico evitando al contempo che i comunisti possano prendersi tutto il merito è grande. Alla sera del 20 agosto De Gaulle rompe gli indugi ed accontenta le richieste: Philippe Leclerc, conte di Hauteclocque, dovrà eludere il controllo americano e marciare a tappe forzate da Argentan sino a Parigi alla testa della sua 2e division blindée. 

A Parigi la sommossa procede a singhiozzo, dopo i primi parziali successi partigiani e gendarmi stanno esaurendo le munizioni; sul fronte opposto i tedeschi centellinano le loro forze, evitano scontro frontali e si limitano a cingere d'assedio gli edifici pubblici in cui le formazioni combattenti francesi hanno preso posizione: von Choltitz non vuole ricorrere alle maniere forti e crede di poter contenere la sommossa, nel frattempo si serve del console svedese Nordling per trattare una breve tregua che consenta agli assediati di prendere fiato e recuperare i caduti ed ai tedeschi di procedere con l'evacuazione. Leclerc intanto procede la sua marcia, ignora i richiami degli americani che gli ordinano di tornare indietro e di non mettere a repentaglio la sua divisione con una puntata offensiva insensata. Ormai quasi in vista della città, il conte invia un segnale radio agli insorti radunati nella Prefettura: "Resistete, a breve saremo da voi!". La sera del 24 agosto anche Ike Eisenhower si decide, capisce che l'occasione è ghiotta e soprattutto che la strada è libera visto che Model si è ritirato: anche gli Stati Uniti partecipano alla partita con la 4th Infantry Division che ha l'ordine di mettersi alle calcagna della 2e DB e di supportarla tanto nell'avanzata quanto negli eventuali combattimenti. Mentre gli americani rompono gli indugi, Leclerc ordina ad un reparto esplorante di aprire la strada a cominciare da Porte d'Italie: il primo soldato alleato a metter piede a Parigi è uno spagnolo, si chiama Amado Granell, è un fuoriuscito repubblicano che guida una compagnia di esuli antifascisti ed è accompagnato da tre carri Sherman. Lungo la strada Granell trova una folla sempre più festante ed alcune preziose guide, un giovane e poi un armeno, che indicano a lui ed al tenente Raymond Dronne le posizioni dei tedeschi. Al calar della sera il reparto esplorante giunge al municipio dove ad attendere i soldati liberatori ci sono i capi partigiani mentre le campane della città risuonano a festa.

Alle prime luci dell'alba del 25 agosto tanto i francesi di Leclerc quanto gli americani del generale Barton sono all'interno della capitale. Guidati dalle staffette della Resistenza, i tank e i cacciacarri si divincolano tra le strade alla ricerca dei tedeschi ingaggiando il combattimento con le poche forze corazzate nemiche rimaste. Alle 11 von Choltitz è nella sua stanza d'albergo, nei dintorni delle Tuileries ha radunato alcune riserve panzer per approntare una difesa d'emergenza. Suona il telefono, è Hitler che chiama da Rastenburg: "Allora, che succede? Mi dicono che gli americani hanno attaccato... von Choltitz, lei ricorda i miei ordini, quindi le chiedo: Parigi è bruciata?". Il generale non risponde, farfuglia, finge un problema con la linea e riattacca. Dopo mezz'ora richiama, sotto le sue finestre infuria la battaglia giacché gli M10 Wolverine di Leclerc hanno ingaggiato l'unico Panther rimasto a protezione di Place de la Concorde: "Mi dispiace mein Führer, ho dato ordine di far saltare le cariche ma i partigiani ne hanno sabotate parecchie. Sento delle esplosioni ma non so dire con certezza quanti obiettivi siano stati demoliti". Il prussiano chiude la comunicazione, in tempo per scorgere col binocolo dalla finestra il Panther immobilizzato da un colpo a bruciapelo sui cingoli e poi speronato ed abbordato da uno Sherman con la Croce di Lorena in torretta.

Parigi è ormai di nuovo francese, i soldati alleati irrompono ovunque facendo prigionieri. Alle 15:30 von Choltitz congeda il proprio Stato Maggiore, chiede un fazzoletto bianco e con quel panno tra le dita esce dall'Hotel Meurice mentre le ultime sentinelle germaniche a guardia di Rue de Rivoli alzano le braccia in segno di resa. Portato alla Prefettura e poi alla Gare de Montparnasse, il generale firma la resa incondizionata delle forze rimaste al suo comando. Si fa la conta dei caduti: la presa di Parigi è costata oltre 1500 caduti al Maquis, più altri 150 morti tra le truppe della 2e DB; i tedeschi denunciano 3200 deceduti in combattimento e 12800 prigionieri oltre alla perdita di tutto l'equipaggiamento, distrutto o requisito. La sera del 25 agosto Charles De Gaulle fa il suo trionfale ingresso in città con una marcia sull'Avenue des Champs-Élysées acclamato dalla folla: nemmeno un falso allarme cecchino distrae il generale che si gode il bagno di folla, pronto a prendersi la scena politica nazionale. Ad osservare la scena c'è anche Ernest Hemingway che nelle vesti di cronista di guerra ha seguito da vicino l'avanzata di Leclerc e che in mattinata ha guidato a modo suo la riconquista dell'Hotel Ritz, ordinando da bere per tutti e lasciando come al solito un conto chilometrico da saldare. Quella sera il grande scrittore sta sorseggiando un Ricard mentre si gode la sfilata di De Gaulle, uno spettacolo ulteriore in attesa dei festeggiamenti che già pregusta per i giorni a seguire. La sorte di Dietrich von Choltitz è invece assai più misera: deportato in un campo di prigionia, prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, confesserà ai suoi commilitoni la piena responsabilità nell'aver disatteso gli ordini devastatori di Hitler. Liberato nel 1947, tornerà a Parigi nel 1956 visitando come turista l'Hotel Meurice e chiacchierando con Pierre Taittinger, già sindaco della capitale durante l'occupazione. Morirà a Baden-Baden nel 1966, vittima di un enfisema polmonare, conseguenza di una ferita di guerra sul fronte orientale.

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