Una nave (e una classe) sfortunata

Le luci delle fotoelettriche ad illuminare l'acqua scura come la pece, ordini contraddittori che giungono da più parti, il tiro disperato dei rimorchiatori, una folta folla di marinai che assiste a quello che verrà definito come il più grave disastro della Voenno-Morskoj Flot in tempo di pace. Prima che l'alba del 29 ottobre 1955 sorga su Sebastopoli una grande nave ha iniziato ad inabissarsi nel porto chiudendo per sempre un'epoca e archiviando la storia di una classe, la "Conte di Cavour", davvero sfortunata.

La nave oggetto dell'affondamento si chiama ufficialmente "Novorossijsk" ma era stata varata oltre quarant'anni prima col nome di "Giulio Cesare" nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente. Seconda unità della sua classe dopo la "Cavour", aveva prestato servizio nella Regia Marina per più di trent'anni, partecipando ai due conflitti mondiali e venendo più volte rimodernata, con un importante intervento di radicale ricostruzione negli anni '30. Nella storia del vascello c'erano stati episodi focali, come la battaglia di Punta Stilo dell'estate 1940 in cui aveva incassato un colpo da 381mm dall'ammiraglia inglese "Warspite" con la perdita di 66 uomini d'equipaggio, o il faticoso trasferimento a Malta del 9 settembre 1943, culminato con un tentativo di ammutinamento da parte dell'equipaggio contrario alle condizioni armistiziali ed alla consegna del bastimento. Sorte peggiore era toccata in precedenza alle due gemelle della medesima classe: la "Leonardo Da Vinci" affondata in porto dopo una esplosione interna nell'agosto del 1916, si disse per sabotaggio austriaco; la "Cavour", sopravvissuta alla Grande Guerra e ricostruita come la "Cesare", era rimasta vittima della notte di Taranto e, trainata a Trieste per le riparazioni, lì sarebbe rimasta per sempre sino al suo definitivo affondamento nelle ultime settimane del secondo conflitto mondiale. La nomea di classe sfortunata non poteva non riguardare anche la "Cesare" che, destinata al trasferimento all'URSS come parte di un lungo conto di riparazioni di guerra, si sarebbe ritrovata a dover cambiare non solo denominazione ma anche comandante persino in previsione della consegna al suo nuovo padrone: Jurij Zinov'ev, designato quale nuovo responsabile della nave sotto bandiera sovietica, accusò un fatale attacco di cuore il 19 gennaio 1949, appena due settimane prima della cerimonia di passaggio delle consegne prevista a Valona in Albania, aumentando la fama funesta della corazzata al pari di una tempesta nel Mar Ionio durante la traversata della zona da parte della "Cesare".

Immessa in servizio con la Flotta del Mar Nero, la nave, col nuovo nome di "Novorossijsk", divenne in breve uno strumento di propaganda più che bellico. Per la Marina sovietica, che aveva ereditato i resti della flotta zarista e che era emersa dalla Grande Guerra Patriottica con ranghi assottigliati e progetti di rilancio sostanzialmente azzerati, la superata corazzata italiana rappresentava più un colpo di prestigio che un assoluto upgrade tecnico, per quanto la ex "Cesare" fosse migliore sotto diversi punti di vista delle due corazzate "Gangut" sopravvissute e rimaste in servizio. Per la stampa sovietica, aver ottenuto da uno dei nemici del fu Asse una grossa nave ed altre imbarcazioni - soprattutto il moderno incrociatore "Duca d'Aosta" ed il veliero scuola "Cristoforo Colombo" - era una eccezionale nota a favore al fine di rafforzare il morale delle popolazioni fiaccate da quattro anni di privazioni belliche. Ma nella realtà dei fatti la "Novorossijsk" era ben poca cosa e presentava notevoli problemi. Innanzitutto la nave era di vecchia concezione, nonostante la ricostruzione degli anni '30 ed i recenti lavori di rimessa in opera: progettata in un periodo in cui l'arma aerea era ancora vista come poco pericolosa in uno scenario di guerra sul mare, presentava una protezione antiaerea insufficiente. Inoltre il progetto, come detto già vecchio, non era stato granché migliorato visto che i rifacimenti avevano sì riguardato il 60% dello scafo ma non avevano adeguato la nave alle esigenze moderne: gli ambienti interni erano pensati per un clima caldo come quello mediterraneo, quindi mancava un isolamento utile contro la rigidità del Mar Nero; le artiglierie principali da 320mm, realizzate ritubando e ricalibrando i vecchi 305mm della Vickers-Armstrong, presentavano una eccessiva dispersione della salva ed erano soggetti ad una frequente usura della canna, con necessità frequente di sostituzione dell'anima interna; la riserva di munizioni fornita dall'Italia era insufficiente (poco più di un migliaio di colpi in totale) e l'industria bellica sovietica fu costretta a produrre munizionamento di un calibro mai realizzato prima. Nonostante si pensasse anche di trasformare la "Novorossijsk" in una nave sperimentale per testare la capacità delle artiglierie di sparare proiettili atomici, la corazzata era quasi inutile in un periodo in cui la portaerei aveva stabilito la sua enorme supremazia sui mari. Ma la Marina sovietica aveva comunque inghiottito il boccone amaro, fingendo che la rinuncia forzata (dagli Alleati) di una più moderna "Littorio" potesse convertirsi in una buona mossa almeno tattica, controbilanciando nel ristretto scenario del Mar Nero la presenza del vecchio incrociatore da battaglia "Yavuz" (già "Goeben") in forza alla Marina turca e dunque in orbita NATO.

La vita operativa della "Novorossijsk" nel Mar Nero era stata scandita in quegli anni da esercitazioni, manovre e diverse migliorie necessarie per risolvere i frequenti guasti all'impianto propulsivo. Lo Stato sovietico, a prezzo di dispendiosi interventi, nell'estate del 1955 aveva finalmente riportato la corazzata ad un accettabile livello di efficienza, pur permanendo l'annoso problema del munizionamento. Il pomeriggio del 28 ottobre 1955, di rientro da un'esercitazione in mare aperto, la "Novorossijsk" gettò l'ancora nella baia di Sebastopoli: l'intento del comando era far partecipare la nave alle celebrazioni imminenti per il centenario della fine dell'assedio della città nella Guerra di Crimea. Parte del personale di bordo ottenne di sbarcare in franchigia, compresi comandante e vice, sostituito da cadetti della locale accademia ed alcuni tecnici della manutenzione. In piena notte, all'1:30, una esplosione verticale scosse il fianco destro della prua, con una colonna d'acqua che si sollevò non molto distante dalla prima torre dei grossi calibri. La deflagrazione, attribuibile ad un carica da circa una tonnellata di tritolo, aveva mandato in frantumi un paio di imbarcazioni leggere ormeggiate in fiancata ed aveva aperto una falla nello scafo proprio nei pressi del punto di congiunzione tra la nuova prora che, nel corso dei lavori in bacino degli anni '30, era stata sovrapposta alla vecchia per allungare il profilo della nave e migliorarne la resistenza in navigazione. L'incendio scoppiato e un pericoloso appruamento dello scafo avevano fatto scattare l'allarme, tanto da richiamare sul posto i rimorchiatori della base e persino il comandante in capo della Flotta del Mar Nero, viceammiraglio Paekhomenko. Da quel momento i confusi tentativi di salvare la nave, simulacro galleggiante più che reale arma da guerra, si mescolarono ad ordini contraddittori e valutazioni errate. Il basso fondale fangoso si pensava che avrebbe impedito un capovolgimento dell'unità, inducendo quindi gli alti gradi a respingere le costanti richieste di evacuare la nave che aveva già patito quasi cento perdite umane nell'esplosione che aveva travolto gli alloggi di prora dell'equipaggio. Solamente dopo due ore, con la nave inclinata ormai di 12 gradi e con la prua ormai immersa nel fango, si capì che difficilmente la "Novorossijsk" poteva essere salvata; tre quarti d'ora dopo lo sbandamento toccò i 20 gradi avviando un lento capovolgimento che si sarebbe concluso solo diciotto ore dopo ma con la devastante perdita di oltre 600 uomini. Un vero disastro.

La commissione d'inchiesta convocata per indagare sulle cause dell'affondamento fu a lungo combattuta tra la necessità politica di non pubblicizzare gli errori commessi dai responsabili e di non ammettere la vetustà di una nave ormai inutile e l'ineluttabilità della ricerca di un colpevole. Scartate le fantasiose ipotesi di un siluramento notturno da parte di un sommergibile fantasma così come di una improbabile azione di uomini-rana di una Potenza ostile, si evitò di parlare di possibili negligenze da parte dell'equipaggio addossando la responsabilità dell'accaduto al fato. Secondo la relazione conclusiva della commissione d'inchiesta, la tragedia era stata cagionata dall'esplosione di una vecchia mina, un residuato bellico lasciato dai tedeschi in loco più di un decennio prima e scampato allo sminamento perché coperto di fango. Una tesi plausibile anche se priva di adeguate prove a sostegno e che negli anni successivi avrebbe continuato ad alimentare la leggenda di una nave maledetta che, secondo alcune chiacchiere da Guerra Fredda, sarebbe stata affondata da reduci della X MAS come sfregio politico al prestigio del Patto di Varsavia. Ma la leggenda della nave sfortunata avrebbe mietuto ancora una vittima, peraltro illustre, nella persona dell'ammiraglio Nikolaj Gerasimovič Kuznetsov, già Eroe dell'Unione Sovietica e comandante in capo della Marina. Impegnato da tempo in un braccio di ferro con il Ministero della Difesa e lo stesso Chruščëv per un ammodernamento delle Forze navali che comprendesse grandi unità di superficie, Kuznetsov venne ritenuto colpevole di condotta errata, degradato a viceammiraglio e collocato forzatamente a riposo mentre i suoi programmi venivano archiviati. Occorreranno trentatré anni perché l'ultima, illustre vittima della tragedia della "Novorossijsk" possa ottenere giustizia ed una completa riabilitazione, anche se postuma. 

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