La rivoluzione della portaerei

Tre corazzate semiaffondate, un incrociatore pesante danneggiato, due idrovolanti distrutti, quasi 60 morti e oltre 600 feriti. Non è il bilancio di una qualsiasi battaglia navale in mare aperto ma di un colpo a sorpresa, un attacco notturno che farà storia e scuola oltre ad arrecare un danno notevole alla Regia Marina tanto in termini di materiale quanto in questioni di prestigio. Un risultato clamoroso, ottenuto con risorse abbastanza limitate e contenendo le perdite a due biplani, un paio di morti ed altrettanti prigionieri. Pearl Harbor è ancora lontana ma i suoi semi storici vengono piantati nella notte tra l'11 ed il 12 novembre 1940, a Taranto.

Ciò che accade quella notte tra Mar Grande e Mar Piccolo in quella che era una delle basi principali della Regia Marina susciterà scalpore proprio per l'esito in rapporto alle forze in campo. Ma dimostra soprattutto lo spostamento del baricentro della guerra sul mare, con l'importanza capitale che passa dalle navi pesantemente protette e dotate di artiglieri di grosso calibro capaci di sparare a decine di chilometri di distanza alle portaerei. Mai fino a quel momento si era davvero capito quanto l'aviazione imbarcata potesse essere determinante nelle sorti della guerra sul mare. E mai sino ad allora la scelta miope ma anche politicamente obbligata della Regia Marina di non approfittare del tonnellaggio in portaerei concesso dai Trattati di Washington era risultata tanto decisiva in negativo per le sorti della flotta italiana.

Nel novembre 1940 l'Italia fascista è in guerra già da qualche mese. Inferta la famosa pugnalata alla schiena alla Francia, Mussolini ha iniziato una sorta di guerra parallela rispetto all'alleato germanico non solo attaccando i domini britannici in Africa (con effimero successo, va detto), ma aggredendo senza motivo apparente un regime teoricamente amico come quello di Metaxas in Grecia. Nella mente del dittatore romagnolo, l'obiettivo primario in termini di politica militare strategica dell'Italia deve essere dimostrare a Hitler che il Regio Esercito e le altre forze armate possono benissimo intraprendere conflitti appunto paralleli rispetto alle azioni della Wehrmacht, smarcandosi da un presunto stato di subalternità. L'impreparazione bellica italiana, in verità già sottolineata più volte da diversi rapporti (anche tedeschi) nei due anni precedenti si rivela in tutta la sua tragicità sui campi di battaglia, con le divisioni costrette ad arrestarsi e ripiegare nell'Epiro di fronte alla resistenza di un nemico più esperto e determinato e meglio condotto ed equipaggiato.

La Regia Marina allo scoppio delle ostilità non rappresentava soltanto la quinta forza navale al mondo per importanza, qualità e tonnellaggio ma era anche il fiore all'occhiello del regime. I numerosi e copiosi investimenti condotti in precedenza a suon di leggi navali avevano consentito alla flotta di rimodernarsi seguendo due direttrici, vale a dire l'immissione in squadra di unità di nuova concezione e la ricostruzione di vecchie navi giudicate ancora valide ed utili allo scopo. La filosofia seguita tuttavia prediligeva l'importanza delle navi di linea e del naviglio veloce, in un eterno confronto rivalistico con la Francia che aveva più il sapore di una trovata propagandistica che di uno studio approfondito delle esigenze tattiche e strategiche della Regia Marina. Già l'aver ottenuto a Washington la teorica parità navale con i transalpini era stata la classica vittoria di Pirro: la Francia aveva necessità di una flotta numerosa e oceanica per coprire un vasto impero coloniale che comprendeva metà dell'Africa, il Medio Oriente, l'Indocina e vari arcipelaghi tra il Pacifico ed il Mar dei Caraibi; le colonie italiane, ben prima della conquista di Abissinia ed Albania, richiedevano uno sforzo decisamente maggiore e non era difficile prevedere già a metà anni '20 che il confronto maggiore in un ipotetico conflitto si sarebbe svolto nel Mediterraneo dove, più che le corazzate, sarebbero serviti incrociatori moderni ed efficienti, naviglio di scorta appositamente realizzato e una copertura aerea costante.

La Regia Marina dunque era il classico ciclope, teoricamente fortissimo ma battibile con un semplice colpo in un punto ben preciso. Il metaforico occhio del mostro è individuato dagli inglesi nella base di Taranto dove il grosso della flotta al comando dell'ammiraglio Inigo Campioni viene concentrato già a fine ottobre del 1940 dopo la dichiarazione di guerra alla Grecia: Supermarina intende infatti sfruttare la forza numerica per dissuadere puntate inglesi in zona e colpire al contempo il traffico commerciale anglo-ellenico nel basso Ionio, nell'Egeo e nel Mediterraneo centro-orientale, aree facilmente raggiungibili da Taranto. Ma concentrare in un solo porto tutta la flotta da battaglia ed il naviglio pesante significa esporsi ad un rischio potenzialmente devastante, esattamente quel che intende l'ammiraglio Andrew Browne Cunnigham con l'espressione "Tutti i fagiani sono nel nido" per approvare l'avvio dell'Operazione Judgment. Il piano, già studiato cinque anni prima nel corso della crisi d'Abissinia dall'ammiraglio Lyster, prevede di avvicinarsi nottetempo alla base italiana, lanciare da 130 miglia di distanza un attacco aereo e colpire a sorpresa la flotta nemica con gli aerosiluranti. Una tattica anche questa rischiosa, d'altronde basterebbe il minimo accenno di una vedetta italiana, un sommergibile o una torpediniera di pattuglia, per mandare a monte l'operazione e mettere a repentaglio la Mediterranean Fleet. Ma Cunnigham, che è comandante capace ed amatissimo dai suoi uomini, decide ugualmente di procedere.

Il piano dell'Operazione Judgment è ambizioso ma non sfugge completamente alla ricognizione italiana che mette in stato d'allarme le basi dopo aver scoperto che la Mediterranean Fleet si sta radunando nella zona di Malta col grosso delle forze. Erroneamente però Campioni pensa che la manovra britannica sia rivolta ad un'operazione di intercettazione del traffico mercantile o di interdizione navale per cui preferisce continuare a far affluire le navi migliori a Taranto in previsione di una sortita o di una battaglia decisiva. Non sa, Campioni, che così facendo agevola solo il compito di Cunnigham il quale però nel frattempo deve rivedere parte delle sue idee: a causa di una avaria meccanica accusata dalla "Eagle", l'attacco sarà portato solo dagli aerei della "Illustrious" - curioso osservare come la data dell'attacco, inizialmente posta per il 21 ottobre in occasione dell'anniversario di Trafalgar, sia stata posticipata di tre settimane per problemi tecnici proprio della "Illustrious".

Alle 20:30 dell'11 novembre 1940 gli antiquati ma ben rodati biplani Fairey Swordfish si levano dal ponte della portaerei inglese. Nei piani tattici sono previste tre ondate con obiettivi primari le sei corazzate in porto, i sette incrociatori pesanti ed i depositi di carburante. Alle 23 circa i primi aerei britannici sono sopra Taranto, due illuminano a giorno il cielo lanciando bengala, incuranti della reazione rabbiosa della contraerea. Uno Swordfish isolato, poco prima di essere colpito a morte, lancia un siluro contro la "Conte di Cavour": l'ordigno centra la grossa nave sulla fiancata di sinistra provocandone l'inesorabile affondamento sul basso fondale, con solo le torri di prora dei grossi calibri, il torrione comando ed i fumaioli ad emergere a pelo dall'acqua. Altro biplani attaccano con siluri ma anche con bombe le ulteriori navi in rada nel corso di tre incursioni che durano in totale nemmeno un'ora e mezza. Quando l'ultimo Swordfish lascia il cielo sopra il Mar Grande, la conta dei danni è tremenda: oltre alla "Cavour", sono colate a picco "Duilio" (con un siluro) e "Littorio" (con tre colpi a segno), si registrano danni gravi all'incrociatore pesante "Trento" ed a due cacciatorpediniere. Il bollettino parla di 59 morti, oltre 600 feriti e vari danni diffusi. Due i prigionieri: si tratta dei piloti del biplano che ha affondato la "Cavour"; altri due inglesi sono morti sullo Swordfish abbattuto mentre cercava di inquadrare il "Gorizia". Scrive Cunningham nei suoi diari: "Taranto e la notte dell'11-12 novembre 1940 dovrebbero essere ricordate per sempre, per aver dimostrato una volta per tutte come la Marina abbia nella flotta aerea la sua arma più devastante".

Le parole dell'ammiraglio inglese sono corrette, quasi profetiche. Il colpo notturno ha stupito il mondo e ha creato un caso di studio. Mentre Galeazzo Ciano annota la "giornata nera" e i marinai italiani si leccano le ferite immettendo in bacino le unità danneggiate - per "Duilio" e "Littorio" occorreranno parecchi mesi di lavori, la "Cavour" invece non rientrerà mai più in servizio e verrà affondata definitivamente a guerra quasi conclusa a Trieste - in Estremo Oriente c'è chi già pensa a come migliorare l'esempio britannico di attacco a sorpresa sfruttando l'aviazione imbarcata. Tredici mesi dopo, il 7 dicembre 1941, gli studi del capitano di fregata Minoru Genda mostreranno i suoi frutti nelle acque della baia di Pearl Harbor.

Commenti

Post popolari in questo blog

Nome in codice: Wunderwaffen

Il Frankenstein di Panama

"Non avranno mai le nostre navi!"